Salvini e il duello con Di Maio: ha problemi psicologici con me

Fantasma che agita i sonni

Il capo della Lega è il fantasma che agita i sonni e la strategia del governo tra Movimento e Pd, più Leu e Iv. Ma il premier è il navigatore di Palazzo Chigi saltato con disinvolto opportunismo da una maggioranza all’altra, che il Carroccio e il suo leader vogliono affondare a tutti i costi: con un’ossessione simmetrica e opposta a quella degli anti-salviniani. Da tempo, Salvini è costretto ad ammettere: «Ho sottovalutato Conte». Frase inconsciamente monca, nel senso che andrebbe completata con un: «Ho sopravvalutato la mia forza». Ma non è stato il solo, nella Lega. A fine luglio, quando si cominciavano a avvertire gli scricchiolii del governo M5S-Lega e il tentativo di Conte di agganciarsi più saldamente alla Commissione europea di Ursula von der Leyen, anche l’allora sottosegretario leghista a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, lo dava per finito. All’idea che il premier volesse fare il nuovo Mario Monti, replicava che era un’ambizione tanto grande «quanto sono fragili le premesse su cui si fonda…».

Autogoal

Si è visto com’è andata. L’apertura della crisi di governo ad agosto si è trasformata in un doloroso, traumatico autogoal. La Lega è finita fuori da tutto. In Europa rimane isolata. Eppure, la forza d’attrazione di Salvini nell’opinione pubblica italiana rimane quasi intatta. Ed è su questa che vuole costruire «il ritorno». Lo dice in continuazione: «Ritornerò», oppure: «Ritorneremo». Lo ha ripetuto anche due giorni fa a Otto e mezzo, da Lilli Gruber. E lo fa con toni da profezia destinata ad auto-avverarsi. Anche se privatamente spiega con lucidità che l’attuale esecutivo probabilmente durerà, cementato com’è dalla paura per una vittoria della destra, e dal sostegno che riceve dall’Europa. Ma la lunga marcia è ben delineata. Comincerà a fine ottobre con le elezioni regionali in Umbria. Lì Salvini annusa la vittoria, con un M5S di Di Maio «ridotto al 5 per cento» per l’alleanza «col Pd di quelli fatti arrestare proprio dai Cinque Stelle».

Orizzonti elettorali

Più in là, a gennaio, toccherà all’Emilia-Romagna, dove intravede possibilità di successo più incerte, ma confida negli errori avversari. E poi il voto in Calabria, in Puglia e altrove; e di lato il collasso al rallentatore della Roma grillina invasa dai rifiuti. La sua speranza è che nel frattempo l’immigrazione possa tornare a essere sfruttata adeguatamente contro l’esecutivo di Conte, e che la famosa flessibilità finanziaria concessa dalle istituzioni di Bruxelles si dimostri meno efficace del previsto. Il suo orizzonte continua a essere soprattutto quello degli appuntamenti elettorali, nei quali dà il meglio di sé. D’altronde, non vede insidie dall’interno della Lega. Non riesce a vederle in un Silvio Berlusconi che considera un alleato magari inevitabile ma non più pericoloso. Probabilmente, ne vede di più in Giorgia Meloni, che lo punzecchia per l’alleanza finita col M5S, e soprattutto cresce nei sondaggi con Fratelli d’Italia. Ma sarà un’alleata nel nome comune del sovranismo, per quanto sgualcito dagli insuccessi e dagli scandali in altre nazioni europee.

«Poltronisti»

Dunque, accerchiare Conte e gli altri «poltronisti» dalle regioni e dalle città, sperando che l’assedio esterno si sommi alle contraddizioni interne dell’alleanza M5S-Pd. D’altronde, non è successo lo stesso alla Lega e ai Cinque Stelle, implosi dopo appena un anno? Quello che forse manca, a questa strategia, è la consapevolezza piena dell’isolamento del Carroccio a livello continentale, e dell’elezione del prossimo capo dello Stato nel 2022. Le vittorie elettorali sono fondamentali, ma possono non bastare. Soprattutto se non sono accompagnate dall’elaborazione di una politica tesa non solo a prendere voti ma a offrire un’alternativa di governo credibile: sebbene oggi sia un problema di tutte le forze, di maggioranza e di opposizione.

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