Rimpatri, le spine del decreto: mancano accordi e centri d’espulsione

Niente asilo

L’obiettivo del decreto firmato da Di Maio è dichiarato: ridurre il numero di persone che richiedono asilo. Chi proviene da uno Stato «sicuro» non ha infatti diritto allo status di rifugiato a meno che non si trovi in una grave situazione personale di pericolo. Quindi deve tornare nel Paese di origine. E qui sorge il primo ostacolo: gli accordi. Per effettuare il rimpatrio bisogna accertare l’identità dello straniero, trasmettere i dati al consolato e attendere il «nulla osta».

L’intesa con la Tunisia consente due charter a settimana da 40 persone. Il Marocco collabora ma a precise condizioni: niente charter, solo voli di linea e ogni migrante deve essere scortato da almeno due agenti. I costi sono elevati, però sono circa mille le persone accettate ogni anno. L’Egitto si fa carico di identificare gli irregolari e accetta in tempi rapidi i trasferimenti così come Gambia e Nigeria. Con gli altri Stati inseriti nell’elenco del ministero degli Esteri non c’è stata invece finora alcun trattato e non è affatto escluso che questa volontà dell’Italia di intensificare i rimpatri faccia alzare il prezzo richiesto per la cooperazione.

Voli e costi

Certamente l’Italia sostiene costi altissimi per i rimpatri e per questo è stato più volte chiesto all’Unione Europea di farsi carico delle procedure. Per i rimpatri verso Bangladesh e Pakistan, ma anche per Ecuador, Perù e altri Paesi sudamericani la procedura è però ulteriormente complessa, perché si devono utilizzare i voli intercontinentali con la scorta dei poliziotti che al ritorno devono viaggiare per contratto in prima classe. Il costo non è mai inferiore ai 10 mila euro, una cifra considerevole anche se le risorse vengono in gran parte compensate con i fondi europei.

Centri di permanenza

E qui sorge il primo ostacolo: dove tenere chi non ha i requisiti. Attualmente i Centri di permanenza sono solo sei: Palazzo San Gervasio (Potenza), Ponte Galeria (Roma), Torino, Caltanissetta, Brindisi e Bari. Possono ospitare circa 2.200 persone, se il decreto aumenterà il numero di persone in attesa di rimpatrio bisognerà aprire altre strutture, scontrandosi con sindaci e governatori da sempre contrari ad ospitare i Centri di permanenza sul proprio territorio.

CORRIERE.IT

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