Università, lo scandalo dei professori con il doppio lavoro che ci costano 40 milioni
Dopo anni di completo Far West, la legge Gelmini aveva provato a fissare dei paletti. I docenti assunti a tempo indeterminato, secondo la norma del 2010, possono avere consulenze chiedendo una autorizzazione al proprio ateneo, ma non possono guidare aziende o società oppure avere attività privata. La parola “consulenza”, inserita all’ultimo minuto nel testo da una manina amica dei docenti, ha comunque aperto a stravaganti interpretazioni. E i prof hanno in molti casi continuato a svolgere attività privata. Lo scorso anno il Miur ha diramato una circolare per chiarire cosa si intende per consulenze. La circolare del ministero fissa quindi il punto della «natura occasionale e dunque non abituale ma saltuaria» della consulenza e dell’incarico esterno. «A titolo esemplificativo non possono ritenersi occasionali attività di consulenza, anche di modico valore economico, che si ripetono più volte nel corso dell’anno o che comportano una limitata presenza del docente in ateneo», si legge nel documento.
Al di là della circolare ministeriale, la Corte dei conti è andata avanti per la sua strada con condanne pesanti e citazioni a giudizio milionarie. L’ultima sentenza è di qualche giorno fa: Vincenzo Rosiello, professore di Ingegneria dell’Università di Napoli “Federico II” è stato condannato a restituire all’ateneo 776 mila euro, dopo che è stato accertato che tra il 2012 e il 2016 con una partita Iva e una impresa individuale ha svolto attività privata. Anche in questo caso i colleghi hanno provato a “salvarlo”, e così in corso di dibattimento davanti ai giudici contabili è saltata fuori una autorizzazione postuma agli incarichi svolti da privato dal docente firmata dall’ex direttore del suo stesso dipartimento. I giudici non ne hanno tenuto conto perché l’autorizzazione in questione era “priva di valenza giuridica, estremamente generica e rilasciata da un organo non competente”. Il direttore del dipartimento aveva firmato una nota in sanatoria con una autorizzazione al docente senza nemmeno una data e il dettaglio degli incarichi autorizzati.
A Bologna sono finiti nel mirino una ventina di professori, il primo ad essere stato condannato è stato il noto ingegnere Paolo Vestrucci, che ha risarcito l’Alma Mater con oltre 200 mila euro, altre condanne sono arrivate nonostante gli strani omissis nelle sentenze recentemente pubblicate che non consentono di ricostruire i nomi dei docenti degli atenei dell’Emilia Romagna. Un riguardo davvero curioso, che i colleghi di altre regioni non hanno avuto: le loro sentenze sono pubblicate senza omissioni di dati personali. Come quella che ha condannato il professore di Geotecnica dell’Università di Genova Roberto Passalacqua, ex consigliere di amministrazione di una società privata, a restituire 120 mila euro, o il docente di Ingegneria dell’Università di Cassino, Giovanni De Marinis, a risarcire l’ateneo con 126 mila euro: oltre ad avere una partita Iva per gli incarichi esterni retribuiti, era presidente e direttore della Cspam, società di progettazione.
Ci sono storie di doppi lavori che poi hanno sfiorato, si fa per dire, anche il penale. Come la storia della professoressa di medicina preventiva dell’Università di Bari Marina Musti, condanna dai giudici contabili a restituire 121 mila euro in base all’indagine nella quale la Guardia di finanza in cui ha annotato nella relazione che la docente “svolgeva attività libero professionale presso strutture non pubbliche”. In particolare per la Ergocenter, società di consulenza medica del lavoro, amministrata dal marito e posseduta al cinquanta per cento con il figlio. E, ancora, tra le condanne recentemente emesse ci sono quella del professore Vito Nardi dell’Università di Cassino, (danno da 54 mila euro), amministratore delegato e liquidatore di varie società o di Andrea dell’Asta dell’Università di Camerino (danno da 44 mila euro) che ha diretto vari lavori nei comuni di Falconara Marittima e Agugliano.
In Sicilia l’indagine delle Fiamme gialle e dei giudici contabili ha portato ad un piccolo terremoto. Lo scorso anno ha lasciato improvvisamente la sua cattedra all’Università di Palermo uno dei docenti più potenti, Nino Bevilacqua: ingegnere, cresciuto professionalmente in maniera esponenziale duranti gli anni d’oro dei governi del centrodestra berlusconiano, grande amico di Gianfranco Micciché, è stato citato la scorsa settimana dalla Corte dei conti per una cifra intorno ai 400 mila euro. “Hanno scoperto l’acqua calda”, hanno commentato in molti dentro l’ateneo. Anche perché Bevilacqua stesso non ha mai fatto mistero dei lavori con sue aziende di progettazione che gestiscono cantieri in mezzo mondo. Secondo i magistrati contabili Bevilacqua nella qualità di professore ordinario della Facoltà di Ingegneria «con più atti e con artifizi e raggiri» non ha mai comunicato il proprio ruolo di amministratore e rappresentante legale delle società Italconsul spa, terrazze dell’Etna trading, Autostrade e strade engineering, inducendo in errore l’Università di Palermo in ordine all’esistenza dei vincoli di incompatibilità”.
In alcuni casi avrebbe avuto il via libera dell’allora rettore Roberto Lagalla, altro nome che conta in Sicilia (oggi è assessore regionale all’Istruzione nel governo di Nello Musumeci): per questo Lagalla è stato citato in solido.
Pure nell’altro importante ateneo siciliano, quello di Catania, Università già scossa da una mega indagine sui concorsi pilotati che ha visto finire sotto inchiesta sessanta docenti e due ex rettori, le verifiche della Finanza sui doppi incarichi hanno colpito nel segno. E hanno già portato a condanne alle falde dell’Etna, come quella del professore Antonino Risitano, oggi in pensione: docente di Ingegneria dell’Università di Catania. In primo grado è stato condannato a restituire all’ateneo 263 mila euro per aver svolto consulenze in procedimenti giudiziari a favore di Eni e Erg ed essere stato componente di commissione in gare di appalto per l’ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Senza aver comunicato nulla alla stessa Università.
Giudizio in corso invece per il collega Rosario Lanzafame, per un importo contestato pari a 72 mila euro. In alcuni casi i docenti, ricevuto l’atto di citazione, hanno provveduto a versare le somme contestate: lo hanno fatto i professori Giuliano Cammarata (per 28 mila euro) e il collega Giuseppe Mancini (per 6 mila euro), entrambi dell’ateneo etneo.
Attenzione, perché non sempre la procura della Corte dei conti ha avuto ragione. Da Bologna a Catania sono diversi i procedimenti nei quali in giudizio il docente ha dimostrato invece la regolarità delle sue consulenze. Non si può fare di un erba un fascio, dunque. Ma che negli atenei ci sia stato un certo malcostume, con più di un occhio chiuso da chi doveva vigilare, questo è fuori di dubbio. E il numero dei docenti con il doppio lavoro sotto indagine potrebbe ancora salire.
L’ESPRESSO
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