Napoli, Santa Maria di Portosalvo: la chiesa chiusa da 30 anni e il restauro infinito. «Così la criminalità fa i soldi con i cartelloni pubblicitari»

Amalia De Simone

C’era un dipinto di Caravaggio nella chiesa di Santa Maria di Portosalvo. Fu messo in salvo insieme ad altre opere quando nel 2004 il comitato civico che porta il nome della parrocchia, denunciò l’enorme degrado in cui si trovava la struttura del ‘600. «Presto ritornerà in chiesa», assicura ancora un po’ timoroso padre Salvatore Fratellanza che da meno di un paio di anni si occupa dell’Arciconfraternita che gestisce la Chiesa e che per conto della Curia e del Cardinale Crescenzio Sepe sovrintende la gestione del bene, pubblicità e restauro compresi. E proprio pubblicità e restauro sembrano essere la spina nel fianco della chiesa napoletana in questi giorni: la chiesa di Portosalvo è chiusa da trent’anni e da alcuni è transennata da installazioni pubblicitarie su tutt’e quattro i lati. Pubblicità che almeno nelle intenzioni, servirebbe a finanziare il restauro. Solo che la ditta che ha in concessione le affissioni pubblicitarie la Spm è sotto indagine della direzione distrettuale antimafia che dopo un’accurata inchiesta della Dia, ha chiesto e ottenuto il sequestro dell’azienda. L’accusa è molto grave e cioè di aver agevolato attività di riciclaggio e favorito il clan dei casalesi e in particolare di Mario Iavarazzo, considerato dagli inquirenti il cassiere del clan.

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