Tutti gli alibi degli alleati per evitare la legge elettorale

Perché mentre il centro-destra sembra ricostituirsi, sull’altro fronte c’è da verificare l’evoluzione dei Cinquestelle: secondo un ministro dem «è chiaro che elettoralmente non torneranno più ai livelli del 2018, ma avranno dimensioni simili a quelle della Margherita». L’idea insomma è che al dunque i grillini accetterebbero la logica della coalizione. E una legge maggioritaria.

Si vedrà. Di certo il patto sottoscritto alla formazione del governo per un ritorno alla proporzionale, è carta straccia da quando nel gioco si è infilato Renzi. I partiti sono così divisi, anche al loro interno, che il vice segretario del Pd ripete ciò che Zingaretti ha detto riservatamente: «Finirà che l’attuale legge elettorale sarà la più conveniente per tutti». O quasi. Perché il Rosatellum è un’arma puntata contro Italia Viva, sebbene il suo leader sostenga che «a me va bene qualsiasi legge: noi saremmo determinanti comunque».

In ogni caso, Conte vuole evitare che si apra ora quel vaso di Pandora, conscio che il futuro resti pieno di incognite: c’è il rischio infatti che dopo l’infornata di nomine nella prossima primavera si possa aprire la strada per un cambio in corsa del premier. Altrimenti Franceschini non avrebbe detto pubblicamente che «dopo Conte ci sono solo le urne»: è stato un modo per avvisare Renzi che «non tornerà a palazzo Chigi». Immaginando invece una duratura fase di stabilità, la scelta della legge elettorale — secondo Bersani — avrebbe un peso anche sulla corsa per il Quirinale: «Se i partiti trovassero un’intesa, si potrebbe persino arrivare a un capo dello Stato condiviso, altrimenti prevedo che a scrutinio segreto rivedremmo i famosi 101. A quel punto, davanti allo stallo, sono sicuro che chiederebbero a Mattarella di restare. Ma sono altrettanto sicuro che lui, per ristabilire un principio costituzionale, direbbe di no».

Malgrado all’appuntamento manchino ancora tre anni e quella corsa entri nel vivo solo negli ultimi tre mesi, è evidente il rapporto con la scelta della legge elettorale. Senza dimenticare alcune «variabili» di cui ieri in Transatlantico discutevano esponenti della maggioranza. La prima è legata all’azione dei magistrati: nell’era delle «toghe nuove» — così sono state definite — si attendono gli sviluppi di alcune indagini delle procure di Roma, Milano e Firenze. La seconda riguarda l’attività dei servizi. E come spiegava in quel crocchio un autorevole ministro che maneggia il dossier del «Russiagate», «il problema non è che il titolare della Giustizia americano sia venuto in Italia. No, il problema è che i servizi abbiano fatto uscire la notizia». Traduzione: c’è una guerra in atto. «Sì, e magari c’è chi vuole decidere la legge elettorale…».

CORRIERE.IT

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