In Europa non sanno cos’è la mafia
E tutte le esperienze, sia giudiziarie sia di studio, fanno emergere (come dato storico-culturale inoppugnabile) che chi non si pente conserva lo status di “uomo d’onore” fino alla morte. Con obbligo d’obbedienza sempre e dovunque.
L’identità mafiosa (una specie di DNA caratteriale) si manifesta come dipendenza assoluta del singolo dal clan: entità speciale, forte e coesa, che il mafioso vive come una “cintura di sicurezza” che gli assicura protezione e segretezza. Una dipendenza che fa del mafioso un “suddito”, nel quale viene inoculata una “filosofia” secondo cui uomini (non a caso “d’onore”) sono solo quelli del clan. Quelli del mondo esterno sono individui destinati ad essere assoggettati, quasi oggetti disumanizzati che non meritano la dignità di persone, e che possono essere uccisi se creano ostacoli, senza alcun senso di colpa, con totale distacco emotivo da parte dei killer. Tutte cose che sono all’evidenza assolutamente incompatibili con ogni prospettiva di recupero, salvo che il mafioso – pentendosi – dimostri concretamente di voler disertare dall’organizzazione criminale, cessando di esserne strutturalmente parte.
Ricordare questi dati non significa cedere a logiche vendicative ispirate al “cattivismo”. Sono riflessioni basate sulla realtà. Una realtà che porta a ritenere facile la previsione che per i mafiosi irriducibili al 41 bis, non pentiti, la riforma dell’ergastolo ostativo significherebbe aprire loro spazi di libertà ( permessi, lavoro esterno, misure alternative), dei quali molti saprebbero approfittare per ricominciare in un modo o nell’altro a delinquere. Una falla nell’antimafia . Un lusso che non ci possiamo assolutamente permettere.
L’obiezione che sarà sempre un giudice a decidere caso per caso, a mio avviso è poca cosa. Nel senso che si delega alla magistratura un segmento nevralgico del contrasto alla mafia, caricandola di responsabilità esclusive pesantissime, mentre l’apparato statuale – non per colpa sua – si defila rispetto a temi che si debbono affrontare collettivamente. Un segnale di debolezza che la mafia ( Dio non voglia) potrebbe cogliere per nuove criminali strategie di aggressione.
Pur col rispetto dovuto a tutte le sentenze (anche quelle della giustizia europea) non si può non osservare che la Cedu sembra aver interpretato la legge “in vitro”, come fosse un’astrazione sganciata da quel che accade nel mondo, frutto di una specie di “dimissione dalla realtà”. Peggio, senza farsi carico di studiare e conoscere la realtà della mafia. Creando di fatto – al di là delle intenzioni –un pericolo concreto per l’Italia e un rischio per l’Europa (stante la crescente penetrazione della mafia ovunque). Quasi a replicare il don Ferrante di Alessandro Manzoni: che negava l’esistenza della peste mentre ne stava morendo.
L’HUFFPOST
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