Hevrin Khalaf, paladina dei diritti umani, violentata e lapidata per strada
Curda, donna forte, attivista per la difesa dei diritti civili, impegnata a garantire i deboli. La conoscevano tutti tra Qamishli, Kobane e Raqqa. Aveva imparato l’inglese sin da giovanissima, era diventata ingegnere, quindi si era impegnata ad aiutare le donne. Amava la politica a tempo pieno. «Era sempre presente alle riunioni con le delegazioni straniere. Elegante, sobria, teneva rapporti diretti con i diplomatici americani ed europei», raccontano i suoi collaboratori.
I social media locali rivelano dettagli terrificanti, con foto crude. Secondo alcuni pare sia stata vittima di un’imboscata ben pianificata. Doveva partecipare a una riunione ad Hasakah con alcuni attivisti del suo nuovo partito, di cui era anche segretaria generale, il «Partito Siriano del Futuro». Ma la sua macchina è stata presa di mira a colpi di mitra. Assassinati subito l’autista e un suo collaboratore. Lei trascinata giù dalla vettura, forse violentata, prima di essere uccisa a pietrate. Una lapidazione vera e propria.
I curdi accusano le milizie arabe mercenarie di Ankara. I comandi turchi negano, affermano di non essere neppure arrivati così nel profondo di Rojava. Ma le cronache delle ultime ore provano il contrario. Ispirati dai turchi, i miliziani dell’Isis, i jihadisti arabi, lo stesso regime di Damasco, alzano la testa. I curdi sono sulla difensiva. Non si capisce più quali strade siano sicure e quali no. E nella terra di nessuno tutto diventa possibile. Anche assassinare una giovane donne innamorata della libertà e dei diritti umani.
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