Eppur si muove
E questa è la prima voce, sia pur invisibile, della manovra, quel “risparmio” di cento punti al giorno di spread che fanno diversi miliardi l’anno da investire altrove e non bruciare in una rivoluzione annunciata con Bruxelles, diventata all’ultima curva utile, brusca frenata, nonostante l’artificio semantico di un 2,4 diventato 2,04%.
Magari è eccessivo parlare di “mezzo miracolo”, come ha fatto Nicola Zingaretti, ma certo, la flessibilità ottenuta al 2,2% e destinata a sterilizzare l’aumento dell’Iva è il frutto di un cambio di “paradigma” nel rapporto con l’Europa, che è il vero programma fondamentale del nuovo governo. Ed è un cambio di paradigma anche il superamento dello schema del “contratto” di governo, che aumentava quella destabilizzazione, tra barconi e balconi appunto, nell’ambito di una campagna permanente tra i due soci. Diciamo le cose come stanno. Quella uscita dal cdm è una manovra di “coalizione” e di “transizione”, in gran parte impegnata a pagare il conto del passato (non solo del Papeete ma della catastrofica finanziaria dello scorso anno), con margini ristretti di azione. In questi margini dà poco, ma comunque dà. C’è un “verso”, sia pur graduale. E senza un’operazione di verità e di stravolgimento di misure che hanno messo in ginocchio il paese.
Ecco, gradualità, non rottura, nella paura condivisa dai partner di governo di perdere il proprio elettorato attuale o futuro, siano essi i beneficiari del reddito di cittadinanza, siano essi i pensionati di “quota 100”, nemmeno ritoccata. La scommessa, parzialmente addolcito un pezzo di populismo, è tutta nella durata, nel senso che se il governo va avanti ci sono le basi per un “cambiamento”. Questo è il punto: il senso di questa storia è anche il tempo, se cioè la manovra rappresenta il primo passo di un cammino di tre anni, altrimenti, nell’immediato, rischia di essere insufficiente. Il verso, dicevamo: in questi margini ristretti di azione il segno politico è targato Pd, tornato a fare la sinistra dopo la stagione renziana, con un piano anti-evasione che non si vedeva dai tempi di Visco e Bersani: un tetto all’uso del contante, sia pur graduale, multe per chi rifiuta l’uso delle carte di credito, misure di contrasto alle frodi Iva, bonus per chi fa uso di strumenti tracciabili sia pur in via di definizione.
L’altro corno sono i segnali per il mondo del lavoro e l’attenzione complessiva alle fasce medio basse: i 3 miliardi sul cuneo fiscale, destinati a diventare 5 il prossimo anno, per chi ha un reddito di 26mila euro, qualcosina sulla povertà (150 milioni) a cui aggiungere le risorse che Roberto Speranza, con grande abilità, è riuscito a destinare alla sanità. È una voce non irrilevante di “discontinuità” e di attenzione ai deboli rispetto alle manovre degli scorsi anni: l’abolizione del superticket sulle prestazioni sanitarie dal primo settembre del 2020 (500 milioni) che si aggiungono ai due miliardi per l’edilizia sanitaria e ai due di incremento sul fondo sanitario nazionale, il doppio rispetto agli anni precedenti. Anche sulle partite Iva il segnale è quello di attenzione alle fasce più basse, con la flat tax che resta per i redditi fino a 65 mila euro e abolita per quelli tra 65 e centomila. Così come un segnale di equità è l’azzeramento complessivo delle detrazioni per chi ha un reddito superiore a 120 mila euro.
Sono segnali, come l’impegno preso con i sindacati per il rinnovo dei contratti pubblici e l’inizio di una discussione per rivedere la Legge Fornero. Non ne viene fuori un compiuto progetto per il paese né un’operazione straordinaria per tempi straordinari, come non lo è il processo di nascita del governo, ma una fotografia delle condizioni date. Un governo pienamente politico avrebbe concentrato le poche risorse tutte su un punto, più che su una pioggia di piccoli benefici. E già si intravede quanto la torsione proporzionalista già in atto abbia spinto le singole forze di questo bizzarro quadripartito a incassare subito un proprio dividendo elettorale. Però il clima è cambiato e anche la dinamica politica. Messo in sicurezza il paese, il crollo degli interessi sul debito e, se funziona, la lotta all’evasione possono consentire di trovare risorse per i prossimi anni. Per allora sarà il caso che il governo trovi anche un’anima. La precondizione, però, è che duri.
L’HUFFPOST
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