Il premier: pensioni e contanti, non tratto

Per Conte il pronunciamento del ministro degli Esteri è un problema: il carcere a lui va bene, rinunciare al tetto no, come dimostra anche l’sms inviato nella notte al ministro Gualtieri, in cui lo invitava a enfatizzare la lotta all’evasione. “Non vogliamo criminalizzare nessuno ma incentivare l’uso della moneta elettronica”. 

Non è un particolare secondario neppure quota 100, su cui Renzi e i suoi promettono battaglia di qui all’approvazione definitiva della manovra. Ma il premier li gela: “Rimarrà”. Ci credono comunque? Chissà: è opinione diffusa che si tratti di una leva per la campagna di lancio di Italia Viva. Ora: nonostante l’aumento del fondo stanziato, il taglio del cuneo fiscale porterà una cifra esigua – 40 euro – nelle buste paga delle fasce di lavoro medio-basse: l’impossibilità di tagliarlo anche per le aziende, da un lato, rende la misura inefficiente ai fini della ripresa e, dall’altro, impedisce di partire con il salario minimo caro ai grillini. Tra le microtasse che costellano la manovra, una sola garantisce un gettito elevato ma è proprio quella invisa agli industriali: la plastic tax. 

Il segno che doveva connotare questo governo doveva essere il Green new deal: Conte è deciso a seguire quella direzione, al momento, però, si tratta solo di indicazioni e segnali di buona volontà. Gli 11 miliardi in tre anni (con l’obiettivo di 50 in 15 anni) sono assolutamente inadeguati per il target che lo stesso premier – come tutti i colleghi europei – vuole raggiungere, cioè l’azzeramento delle emissioni di Co2 entro il 2050. È evidente che questo sarà il fronte sul quale si concentreranno maggiormente i tentativi di emendare la manovra, tagliando ulteriormente i sussidi ambientalmente dannosi. Importante e molto sbandierato (non solo dal diretto interessato, il ministro della sanità, Roberto Speranza) il taglio dei super ticket che partirà, però, solo da settembre, per diminuire di due terzi la spesa. Anche qui la manovra 2020 non va oltre la buona volontà. 

La partita insomma è tutt’altro che chiusa. Sia perché il percorso parlamentare non sarà facile – Conte sta studiando il modo per blindare i numeri al Senato, dove i mal di pancia grillini potrebbero sfogarsi anche sul decreto Ilva – e i tentativi di rendere la manovra più incisiva non mancheranno, sia perché resta in sospeso il verdetto dell’Europa. Arriverà entro la fine di novembre, afferma Dombrovskis e, a prendere la decisione, sarà la commissione uscente. I segnali ufficiosi che arrivano autorizzano ottimismo, Moscovici avrà certamente un occhio di riguardo per un governo amico, ma 14 miliardi di flessibilità sono tanti e anche una lieve richiesta di correzione potrebbe squilibrare conti che sono meno solidi di quanto Zingaretti voglia far credere. 

Il guaio più grosso però è altrove: la sterilizzazione dell’Iva per l’anno prossimo risulta infatti nelle tabelle dello stesso governo più debole del previsto. Bisognerà trovare 18 miliardi e, con le prospettive di una crescita poco sopra lo zero, se tutto andrà bene potrebbe voler dire trovarsi tra un anno nella stessa situazione di oggi. Quella di un governo che non può fare quasi niente se non appunto evitare l’aumento dell’Iva. 

QN.NET

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.