Conte, il Pd e il piano B: se Di Maio e Renzi insistono, elezioni anticipate

Ecco il motivo per cui Zingaretti insiste su una coalizione con M5S, che a suo giudizio sarebbe «competitiva» nella sfida con Salvini. E per quanto Di Maio respinga per ora le avances, non è a lui che vengono rivolte. Ma a Conte. Dall’atto di costituzione del governo, il premier e il segretario dem hanno costruito un solido rapporto, al riparo dei media: in questi mesi Conte si è fatto riprendere con tutti, da D’Alema alla Meloni passando per De Mita, ma non c’è foto che lo ritragga con Zingaretti. E i loro incontri sono rimasti (finora) riservati. Nelle conversazioni è andata maturando l’idea che davanti a uno scenario vietnamita — con Renzi e Di Maio a muoversi in sincrono — non potrebbe bastare l’ipotesi di un gruppo di «responsabili» per sterilizzare schermaglie o imboscate in Parlamento. Il problema era (e resta) politico: l’immagine del governo e della coalizione sarebbe comunque intaccata. E allora, o si arriverà a un chiarimento nell’alleanza o si giocherà d’anticipo nell’alleanza. Non c’è dubbio che il tentativo sia quello di trovare un compromesso, ma come ogni compromesso non sarebbe definitivo.

Perciò il «piano B» è più di una suggestione: il premier e il leader del Pd sono garanti degli attuali equilibri ma sono anche garantiti da questi equilibri. Qualsiasi nuova soluzione li porrebbe ai margini. La priorità è l’approvazione della manovra, per quanto entrambi abbiano capito che il Parlamento rischi di trasformarsi in un far west, dove «il protagonista della rottamazione» si potrebbe metterebbe «alla testa di una battaglia di retroguardia»: «Anche se così si farebbe male da solo». Il punto è come si arriverà a gennaio. Perché, sebbene nessuno oggi voglia far cadere al governo, la situazione può sfuggire di mano. Ieri Di Maio, subito seguito da Renzi, ha chiesto un vertice sulla Finanziaria: il primo vuol cambiare la flat tax, il secondo cancellare Quota 100. Peccato che la manovra sia stata già spedita in Europa con i saldi fissati. E siccome le richieste sono contrapposte, come farebbero a tornare indietro? Il balletto di ieri ricorda la stagione di Prodi, quando i ministri approvavano i provvedimenti del governo per poi andare a manifestare sotto Palazzo Chigi contro i provvedimenti del governo. La situazione è caotica, il Parlamento bloccato: l’unico decreto in esame al Senato — quello sull’Ilva firmato da Di Maio — sconta la fronda dei grillini guidati dalla Lezzi, che da ministro aveva approvato il provvedimento. I Cinquestelle sono così spaccati che lo stallo si proietta sulle nomine, compresa la Cdp, dove addirittura l’opposizione potrebbe diventare maggioranza. «Grillo e Casaleggio devono garantire ciò che avevano garantito», diceva a sera un autorevole ministro dem. Così è tutto chiaro. Anche il «piano B».

CORRIERE.IT

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