La Leopolda dell’egolatria
Eccolo sul palco, dopo un ingresso da rockstar, cinque minuti di camminata per attraversare tutta la Leopolda. Cinque minuti nella musica assordante, tra baci che sgualciscono, strette di mano, autografi, sotto la sapiente regia di Lucio Presta. Eccolo, compiaciuto e sorridente, Renzi sale sul palco, col suo Io ingombrante e la camicia scomposta. È lì che capisci il gioco, perché di questo si tratta, alla fine della giornata più tesa per il governo: “Leggo di strane idee che Renzi vuol fare cadere il governo. Sarebbe da ricovero, lo abbiamo fatto nascere un mese fa”. Il gioco di chi tira la corda, ma non la spezza, perché non è nelle condizioni, nei numeri e nel consenso per farlo, ma sceglie il governo come terreno su cui riaprire uno spazio pubblico e di consenso: “Noi – dice a Franceschini – lanciamo idee, non sono ultimatum. Confondere le idee con gli ultimatum è una resa al populismo”.
Leopolda piena, urne chissà perché del gioco fa parte il non contarsi, almeno per ora, alle regionali ad esempio, con la rockstar polemicamente soddisfatta: “Altro che flop, amici della stampa, dei talk show e commentatori, figuratevi se era piena che casino”. Poi qualche battuta sul confronto tv con Salvini, perché che belli i confronti con gli avversari, altro che con i “giornalisti” che “fanno da controparte”. Applausi e peccato che, molto spesso, i giornalisti vengono invitati quando i politici i confronti non li vogliono fare, come accadeva anche al renzismo ai tempi del potere e non della ricerca della visibilità. Ma questo è un altro discorso. Poi, finalmente, un momento di serietà, con il collegamento con la capitana delle truppe curde da Kobane, che, da un rifugio, si commuove per il calore che le tributa la stazione fiorentina.
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