Anche il Libano in fiamme
Si sta cercando, come detto in precedenza, di fare fronte alle varie emergenze attuando maggiori prelievi fiscali che però ovviamente, oltre a rischiare di decimare ulteriormente il potere d’acquisto dei cittadini, hanno fatto crescere enormemente l’insoddisfazione ed hanno contribuito a far sorgere le proteste. L’introduzione della tassa su Whatsapp è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A partire dalla giornata di giovedì, decine di persone sono scese in piazza ed hanno iniziato ad accusare il governo di Hariri di voler vessare i libanesi. Da qui la richiesta di dimissioni, ma anche momenti di tensione che soprattutto a Beirut hanno provocato non pochi disordini.
Due giovani cittadini siriani, proprio nella capitale libanese, sono morti a seguito delle intossicazioni dovute all’incendio appiccato in un negozio. Ed il coinvolgimento di siriani nelle proteste, seppur indiretto, ha richiamato da vicino anche un’altra questione che affligge il paese dei cedri: l’accoglienza dei tanti profughi provenienti da un vicino ancora in guerra, sta contribuendo e non poco a destabilizzare un Libano già molto fragile. E questo dimostra come la crisi siriana abbia conseguenze anche sull’intera regione.
Lo stallo amplifica i problemi del Libano
Il dito, come detto, è puntato contro il premier Saad Hariri. Si tratta di una reazione istantanea alla crisi ed alla rabbia che, giorno dopo giorno, da anni fomenta all’interno della società libanese. Ma, di certo, quantunque siano molteplici le sue personali responsabilità sull’andazzo politico nel paese dei cedri, Hariri non appare comunque l’unico imputabile. In realtà i fattori sono indubbiamente molteplici. A partire da uno stallo politico oramai endemico in Libano. Il fragile contesto sociale su cui poggia storicamente il Paese, negli anni ha generato un quadro politico tanto frazionato quanto difficile da mantenere. In primo luogo perché la priorità viene data al mantenimento degli equilibri tra le varie comunità di cui è composto il paese: il presidente della Repubblica deve essere cristiano maronita, il premier sunnita ed il presidente del parlamento sciita. Chiaro dunque che in un contesto del genere, è difficile trovare accordi in grado di garantire governabilità.
Per far nascere il governo Hariri ad esempio, sono stati necessari nove mesi di trattative. In quel frangente, con un governo in sella a Beirut per garantire solo l’ordinaria amministrazione, è stato impossibile mettere in cantiere le azioni economiche e politiche volte a rilanciare l’economia del Libano. Ma anche con il governo in carica, trovare accordi programmatici tra tutte le varie forze politiche è un’impresa difficile. Per cui, di fatto governare questo piccolo ma complicato paese appare quasi impossibile nelle condizioni attuali. Le difficoltà che Hariri ha avuto e continua ad avere nella propria azione politica, sono le stesse che avranno anche i suoi successori. Intanto il governo ha fatto sapere di aver eliminato la tassa della discordia. Ma questo, al momento, non è bastato a placare gli animi.
INSIDEOVER
IL GIORNALE
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