Di Maio spiazzato da Conte: questa volta ha esagerato | Il premier: «Chi non fa squadra è fuori»
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Da Palazzo Chigi assicurano che tra l’avvocato e il capo dei 5 Stelle non ci sono ombre, ma basta leggere le dichiarazioni per capire che la competizione tra i due leader, deflagrata sull’evasione fiscale, è destinata a continuare. Di Maio lo ha dipinto come un nemico del popolo delle partite Iva e Conte ha risposto brusco («fesserie!»), per poi inchiodare Di Maio alle Colonne d’Ercole del Movimento: «Il M5S gridava “onestà, onestà”…». E se «Luigi» brandisce i voti che, sulla carta, ha nei gruppi parlamentari, «Giuseppe» fa leva sul consenso personale di deputati e senatori.
Dal capo politico il premier vuole «piena fiducia» e l’impegno a non toccare il suo piano anti-evasione. È una prova di forza, in cui però Conte concede a Di Maio una foglia di fico da offrire alla sua base. L’aliquota della flat tax al 15% per i redditi fino a 65 mila euro non sarà toccata e che poi, quando il piano anti-evasione comincerà a dare i frutti sperati, si potrà abbassare anche tra i 66 mila e i 100 mila. Purché nessuno pensi che la manovra possa tornare sul tavolo del Cdm. Quanto alle pensioni, non c’è concessione che Conte possa offrire a Renzi. Il quale presenterà un emendamento per cancellare Quota 100 per il solo gusto, confidato ai fedelissimi, «di vedere il Pd che difende la bandierina di Salvini».
Il Pd si è stancato di fare il portatore d’acqua della maggioranza e ha cominciato, sottotraccia, a minacciare il voto anticipato. «Non possiamo essere la forza che si fa carico di tutto — si è sentito ripetere Conte —. Senza una prospettiva condivisa, il governo avrà vita breve». Perché non accada che il partito «più responsabile» finisca per essere logorato dal governo, come avvenne ai tempi di Mario Monti, i vertici del Nazareno hanno chiesto a Conte di assumersi la responsabilità della sintesi, così che le decisioni votate all’unanimità siano vincolanti per tutti. A cominciare da Renzi, che per ritagliarsi uno spazio vitale è costretto a fare ogni giorno la guerra al suo ex partito, all’insegna del motto mors tua vita mea. Zingaretti è stufo e anche piuttosto preoccupato. Perché, come va avvisando a ogni passo Dario Franceschini, «nessuno vuole far cadere il governo, ma a forza di alzare la palla su ogni provvedimento il gioco può sfuggire di mano». Analogo concetto distilla il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, quando invita i colleghi a «non inseguire le polemiche» e si dice «consapevole dei rischi, se non le si mantiene dentro una dimensione fisiologica».
Tra Palazzo Chigi e Nazareno sono tutti convinti che il motore delle fibrillazioni sia il combinato disposto tra la Leopolda e la manifestazione di Salvini, che ha costretto Di Maio ad alzare i toni per non restare schiacciato. Ma per quanto la polemica sia ritenuta «un fuoco di paglia», Zingaretti e Conte non possono ignorare i post del M5S e gli assalti della Leopolda. Dove Ettore Rosato, chiedendo al premier di ascoltare «due forze che pongono temi condivisi», ha ufficializzato l’intesa tra M5S e Italia Viva.
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