Manifestazione a Roma, Salvini rilancia: «Ora dobbiamo studiare»

È vero, si trattava di una manifestazione di piazza, non di una riunione programmatica. E la manifestazione è riuscita, con un melting pot di bandiere sotto il palco e una sfida sopra il palco, con due generazioni di politici a confronto, con il Cavaliere che non si accorgeva di essere distante dal microfono e Meloni invece lesta a trovare un rimedio per non assoggettarsi al ruolo di ospite: «Ma quando me freghi», ha sussurrato pensando a Salvini, mentre guadagnava il podio e oscurava con un tricolore il logo della Lega. E giusto per fare un ultimo regalo al padrone di casa, è andata lunga con il suo intervento, tanto che Salvini si è irritato quando lo hanno invitato a «stringere» perché la gente stava lasciando la piazza per andare alla stazione.

Tutti comunque hanno sfruttato l’occasione per lanciare un messaggio. Berlusconi si è scagliato contro gli eterni «comunisti». Meloni ha regolato i conti con gli avversari ma anche con gli alleati, ai quali ha chiesto un «patto anti-inciucio con Pd e M5S», come a sottolineare che è l’unica monda dal peccato originale. Salvini ha attaccato «il governo di Gianni e Pinotto», che fino ad agosto erano stati suoi sodali. shadow carousel

La manifestazione della Lega a Roma: in piazza l?«Orgoglio italiano»

Ma che nel centrodestra esista il problema di strutturare un progetto di governo, lo ha ammesso lo stesso leader della Lega: il tempo che manca «per tornare a palazzo Chigi dalla porta principale — ha detto — ci dovrà servire per studiare, incontrare e valutare». E ogni verbo si porta appresso una serie di interrogativi: sui rapporti europei, le relazioni internazionali, la politica economica, quella industriale. Insomma, sull’idea di Paese. Perché non basta un’intervista per accreditare un nuovo corso, se dal palco il professor Bagnai — che nel Carroccio chiamano ironicamente «il nostro premio Nobel» — sostiene che la Brexit «è una scelta di libertà», mentre l’Europa è «una prigione» e l’euro «non è irreversibile».

Salvini sa qual è il problema, che poi è lo stesso con cui Berlusconi dovette fare i conti nel ‘94, prima di aderire al Ppe. Non a caso Giorgetti ha lanciato di recente il sasso in quella direzione. «Il politicamente corretto vede nel sovranismo un pericolo per la democrazia», ha scritto in un articolo pubblicato da Civiltà delle Macchine: «E se fosse invece l’ultimo disperato tentativo di difenderla?». È un primo passo verso una conversione politica della Lega che consentirebbe a Salvini di rendere spendibile la leadership e il consenso di cui dispone. E trasformarli così in premiership.

Ma i messaggi lanciati ieri dai governatori riflettono ancora l’incompiutezza del momento. Un conto è stato infatti il discorso del presidente del Friuli-Venezia Giulia Fedriga, che ha sciorinato un rosario di delitti commessi sul suo territorio da extra comunitari. Altra cosa il pragmatismo di Fontana e Zaia, che in Lombardia e Veneto hanno dato prova di collaborare con amministratori di centrosinistra per conquistare un’Olimpiade osteggiata dal governo di cui la Lega faceva parte.

Per «tornare a Palazzo Chigi dalla porta principale», a Salvini tornerà certo utile la reunion con Berlusconi e Meloni, un ritorno al passato di cui diceva di non sentire «nostalgia». Ma non basterebbe. E ieri ha fatto capire di aver capito: perché le scorciatoie rischiano di essere vicoli ciechi

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