Vigili del fuoco, gli eroi che lo Stato ha abbandonato
Sellia Marina, le vergognose condizioni in cui lavorano i Vigili del fuoco
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Eppure il costo dell’affitto ogni anno è di oltre 90mila euro. “A riscuoterlo è la Immobilfin, società del Grande Ufficiale Giuseppe Procopio” spiega il vigile Tonino Jiritano rappresentante dell’Usb. Attiva da anni in Calabria, con una sede strategicamente posizionata in via del Viminale a Roma a pochi metri dal ministero dell’Interno. È proprietaria anche della vicina caserma dei Carabinieri e “alla famiglia Procopio benevolente” si deve, come recita la targa di ringraziamento, la chiesa Maria Maris Stellae eretta proprio di fronte affaccia sulla statale 106, l’emblema del non finito calabro. Tra cementificazioni abusive e interrotte spiccano i cartelloni pubblicitari. Uno promuove la vendita di immobili con tanto di garanzia: “attualmente locato a congruo e remunerato canone: al ministero dell’Interno”. Un affare sicuro, insomma. L’altra pubblicità magnifica l’avvio dei lavori per la cittadella dei sogni di prossima realizzazione: ci sono disegnati i vigili del fuoco, i carabinieri e un San Nicola gigante e benedicente sulla piazza intitolata al professor Giuseppe Procopio.
Il catalogo prosegue scendendo a sud lungo la statale jonica. Si arriva
alla caserma di Soverato: 60 mila euro l’anno per un capannone su un
solo piano. Costruito vicino al torrente assassino: un intero campeggio
spazzato via dalla furia dell’acqua e della montagna franata, con
tredici morti. C’erano disabili e i volontari che li assistevano, venuti
in Calabria per una vacanza senza barriere. E a muoversi nel fango, nel
tentativo disperato di salvarli furono proprio i vigili del fuoco.
Finiti poi ad avere la base in una zona altrettanto rischiosa.
È l’Italia dei paradossi dove accade che dal 2014, a Varazze in Liguria, i pompieri siano sistemati direttamente nei container. Oppure che si spendano come a Prato oltre
530mila euro l’anno per la sede del comando provinciale. Le città sono
piene di caserme dismesse dalle forze armate o di immobili confiscati
alle mafie e inutilizzati, ma oltre 22 milioni di euro, stando agli
ultimi dati pubblicati, vengono spesi per sedi pubbliche spesso
insicure. I vigili del Fuoco pagano da Ascoli Piceno a Salerno.
Nella Capitale il 70 per cento degli edifici in uso alle forze
dell’ordine non appartiene allo Stato. E così sono quasi cento i milioni
sborsati ai privati per le caserme dei Carabinieri e altri 93 per la
Polizia. E alla fine in un cortocircuito si scopre che a Vittoria, in provincia di Ragusa,
il commissariato di polizia è in uno stabile di una famiglia legata ai
clan. Un contratto da 105 mila euro all’anno fino a che lo scorso luglio
la Guardia di Finanza ha dovuto mettere i sigilli.
Uno spreco privo di ogni logica. In tutto il paese ci sono 7500 villette, condomini e appartamenti strappati alle cosche e ben 800 in Calabria. L’Agenzia che li gestisce per conto del ministero dell’Interno ne ha segnalati 1640 alle amministrazioni pubbliche, tutti praticamente pronti all’uso. Quante hanno risposto? Nessuna. Nemmeno una ha colto l’occasione di risparmiare sulle locazioni. E garantire dignità ed efficienza ai reparti operativi.
Sellia Marina anche in questo caso ci mostra il peggio: un soccorso fuori servizio. Nella rimessa pericolante un gatto delle nevi, necessario per raggiungere le alture della Sila, è immobile da anni. Così come la barca per i soccorsi in mare. Sepolti dai calcinacci e mai riparati. E alla fine a disposizione per gli interventi c’è solo un’autopompa.
Nella sede provinciale di Catanzaro basta poco per finire al buio: a luglio le infiltrazioni d’acqua hanno lasciato i pompieri senza elettricità. Qui c’è un cimitero di rottami. Quando i mezzi vanno in avaria spesso non ci sono i ricambi e bisogna andare avanti confidando nella fortuna. “Siamo costretti a girare anche con pneumatici usurati, il parabrezza rotto pur dovendo correre a 130 all’ora” raccontano i vigili. E mostrano il sedile di un veicolo sostituito con una tavola.
Carenze ovunque. A Roma il sindacato Fp Cgil ha denunciato condizioni assurde: “Ci sono solo due autoscale disponibili per l’intera metropoli, che devono correre nel traffico da un quartiere all’altro. Lo scorso 15 settembre in zona Cinecittà una squadra è intervenuta in soccorso di una persona aggrappata ad una finestra. Ma l’autoscala della sede Tuscolano II è fuori uso ormai da tempo. La persona da soccorrere è caduta sui materassi messi dal personale, riportando ferite non gravi. Sono episodi che purtroppo si ripetono”. “Siamo al collasso, i vigili dei tre importanti distaccamenti Eur, Tuscolano I e Palestrina non hanno autopompe, tutte fuori uso e non rimpiazzate”, è l’allarme lanciato pochi mesi fa Angelo Mogavero, rappresentante della sigla Conapo. Per garantire le emergenze ci si arrangia: “I colleghi tamponano la situazione utilizzando al posto delle autopompe le autobotti che però non hanno spazio per trasportare tutte le attrezzature per gli incendi e per i soccorsi e così al seguito va anche un fuoristrada con caricate le attrezzature principali, ma non tutto il necessario. È una situazione grottesca, come se ci mandassero in guerra con le fionde”. Se questa è la capitale, figuratevi il resto delle città.
Tutti i governi ripetono che l’Italia è una terra fragile condannata al rischio di frane e alluvioni, che i mutamenti climatici ci espongono ancora di più alle bombe d’acqua e alle bufere improvvise, che la nostra storia ci impone di convivere con i terremoti, che l’abbandono dei boschi d’estate moltiplica gli incendi. E quanti sono i vigili del fuoco in azione sul territorio? “Uno ogni 16 mila abitanti”, replica pronto Costantino Saporito, coordinatore nazionale del sindacato Usb. E spiega: “L’organico è molto carente, con poco più di 34 mila uomini e donne. Ma gli operativi reali sono soltanto 22 mila. Molti però si occupano soltanto di porti e aeroporti, il che riduce a 16 mila le forze utilizzabili sul territorio”. Gli effetti si vedono, nonostante l’impegno dei singoli. Qualche anno fa, anche se non è mai diventato una prescrizione, il ministero dell’Interno aveva fissato come parametro per l’intervento ottimale un tempo tecnico di 20 minuti: ogni minuto in più può significare vite lasciate senza soccorso. Ma per riuscire a rispettare questo canone virtuoso servirebbero 40 mila vigili pronti a scattare: due volte e mezzo quelli su cui si può contare oggi.
E non è che i compensi siano all’altezza dei rischi. Gli chiediamo di gettarsi tra le fiamme, di sfidare fiumi in piena e crolli, le paghe però sono al decimo posto nella graduatoria di quelle medie del pubblico impiego. Lo stipendio di vigili, capi squadra e capi reparto oscilla tra 1.400 e 1.600 al mese. Il merito sul campo non viene riconosciuto anzi: agli “operativi” è preclusa la carriera direttiva con il passaggio a retribuzioni migliori. Un pompiere francese guadagna in media 500 euro in più. “E come se non bastasse” ragiona Saporito “l’unica copertura assicurativa che abbiamo è l’Opera nazionale di assistenza che ci finanziamo da soli. L’Ona ha un patrimonio di oltre 30 milioni di euro ma se un collega si infortuna gravemente o muore, l’unico modo è fare una colletta. Considerate che da anni respiriamo amianto, ma il mesotelioma non è riconosciuto”. Poco ha fatto anche il decreto sicurezza che per i sindacati “riduce tutto a un aumento delle ore straordinarie, obbligandoli a rischiare di più per guadagnare”.
Lavorano tra fuoco e cenere, ma restano la cenerentola dell’Italia in divisa. Acclamati come eroi nel momento del sacrificio per poi continuare a venire trascurati. Lo scorso maggio, proprio a Catanzaro, alcuni di loro hanno contestato insieme ad altri manifestanti l’allora ministro Matteo Salvini in tour elettorale. “Zanzare, mosche e sfigati” è stata la sua risposta. L’ennesima delusione da una politica che indossa caschi e divise in favore di telecamera e da uno Stato che dovrebbe occuparsi della vera sicurezza di tutti i cittadini, senza tralasciare chi, per quella sicurezza, rischia la vita.
L’ESPRESSO
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