Quel frammento del Muro e la libertà ritrovata

Tra le cose a cui tengo di più e che non vorrei mai perdere c’è un frammento del Muro di Berlino fatto a pezzi nel novembre 1989, trent’anni fa esatti, che un tedesco allora giovane come me mi aveva portato come un meraviglioso trofeo della libertà ritrovata. Chi oggi non ha almeno quarant’anni non può capire con quale senso di liberazione abbiamo vissuto in diretta le picconate che stavano demolendo in una grande festa commovente un monumento lugubre dell’oppressione e del totalitarismo. Le folle dei berlinesi dell’Est che sciamavano ebbre di felicità verso i negozi considerati dal comunismo al potere simbolo del vituperato consumismo occidentale. Il maestro Mstislav Rostropovich che con il suo violoncello suonava davanti al Muro preso d’assalto dai giovani finalmente liberi per festeggiare la caduta di una barriera che, diceva, «mi lacerava il cuore». Quel rumore di martelli perché ogni tedesco che si trovava lì voleva dare il suo contributo alla distruzione materiale di un incubo. Emozioni incancellabili, che ho ritrovato anni dopo quando insieme a mia figlia ci siamo commossi al Museo del Checkpoint Charlie davanti alle immagini dei tanti tedeschi prigionieri di Berlino Est che cercarono di attraversare la frontiera nei modi più avventurosi per sfuggire ai Vopos, i cecchini della dittatura della Ddr, il regno della Stasi.

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