Forza Italia Viva
Ecco, il modello (Berlusconi) è un leader che ha fallito. E il nuovo inizio di Renzi è un disegno vecchio e già fallito, quando l’abolizione dell’Imu e le promesse di fare il Ponte sullo Stretto o le critiche ai magistrati, non portarono un solo voto da destra, mentre si scavava un baratro con il popolo della sinistra. Disegno che viene riproposto con la speranza di raccattare un po’ di ceto politico in cerca di sopravvivenza dal berlusconismo morente. E di prendersi i voti di ciò che resta del suo blocco sociale, lisciando il pelo all’Italia dei bottegai che vogliono alta la soglia del contante e a quell’Italia dell’evasione diffusa che si sente meno minacciata dalle “patenti fiscali” a punti più che dall’inasprimento delle pene. La “renzinomics” in fondo è questo, il tentativo di conquista di un elettorato “moderato” che non vuole la rimodulazione dell’Iva, che preferisce gli sgravi sulle famiglie al cuneo, più sensibile al “meno tasse” che alla “tassazione progressiva”.
Parliamoci chiaro, questo discorso, con l’elogio a Silvio più enfatico del solito, è la definitiva fuoriuscita dal campo del centrosinistra tradizionale. E del definitivo rifiuto di costruirne uno nuovo, organico, trasformando l’attuale maggioranza di governo in un’alleanza politica stabile. Ciò che viene chiamato futuro e pomposamente presentato come il “macronismo” all’italiana è, semplicemente, il passato, sia pur in salsa populista. L’Italia del proporzionale, dove il principale avversario è il partito più vicino, dove si esaltano le differenze e il governo diventa il campo di battaglia per rosicchiare consenso piantando ogni giorno una bandierina, senza mai metterlo in discussione perché la volontà popolare in fondo fa paura. C’è solo questo, nell’appello ai delusi di Forza Italia e, contestualmente, a chi non vuole un’alleanza stabile tra Pd e Cinque stelle. Si dirà, è una doppia Opa che, presentata così, sembra anche suonare bene. Oggi però, perché poi le chiacchiere si misurano sui fatti. Perché poi bisogna vedere chi arriva, se chi ha votato che Ruby era la nipote di Mubarak o qualcuno dal Pd.
Altro che Macron, che vinse in quanto novità. L’unico disegno di questa operazione è la riproposizione di sé, nell’ennesimo partito personale senza radici e senza storia, anzi con una storia che è una sequenza di sconfitte del suo protagonista. E, attenzione, la fragilità è proprio nel messaggio politico, al netto delle parole d’ordine e dell’effetto scenico. Non è un caso che Renzi ha accuratamente evitato di prendere di petto il tema immigrazione, come se fosse un problema che si risolve ignorandolo o non parlandone, perché è proprio la questione che potenzialmente rompe la favola bella del “prendo un po’ di voti a destra e un po’ a sinistra”. È la più divisiva, la più “identitaria” di questo tempo, su cui la nuova destra ha costruito una sua egemonia culturale.
Insomma, in questa Leopolda si è capito che il governo non rischia (per ora) perché Renzi non è pronto per il voto – e non è il solo – e perché, in questo Parlamento, vuole condizionare l’elezione del prossimo capo dello Stato, come ha candidamente spiegato nel suo discorso, che sarà suonato, per parecchi, come il sinistro annuncio dei “nuovi 101” per i candidati a lui sgraditi (il cui elenco è già lungo). Ma proprio questa ricerca di visibilità e centralità politica rende il governo più fragile, come si è visto in questi giorni di protagonismo renziano. Il problema è che tutti, al momento, sono costretti a convivere in questo litigioso condominio, perché anche la minaccia fatta filtrare dal Pd di “andare al voto con Conte” è solo spin, con una manovra aperta e un disegno di riforma costituzionale che deve consumare il suo iter.
L’HUFFPOST
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