Uber punta sulle due ruote: a Roma c’è Jump, la bici elettrica in sharing che sfida il traffico
Alla presenza della sindaca Virginia Raggi, sotto un sole caldo che colpisce in viso come d’estate, le promesse di una città migliore e di una mobilità al passo con i tempi si sprecano. Ma tutti pensano al disastro della Obike di Singapore, alle sue bici vandalizzate e buttate nel Tevere, accatastate agli angoli ormai inutilizzabili e rimaste lì per mesi. Per scacciare lo spettro si recita un mantra: “Roma ha solo bisogno del servizio giusto per i suoi cittadini. E poi le bici elettriche di Jump non sono come quelle tradizionali”.
In effetti gettare nel fiume un veicolo da trenta chili non è impresa semplice. E comunque c’è il gps e la connessione alle reti mobili che in tempo reale tracciano ogni mezzo. Telaio in alluminio, freni a disco, tre velocità, porta pacchi e porta smartphone. Si sblocca con l’app di Uber inquadrando il codice sul manubrio, si toglie il fermo a cavo inserito nella ruota posteriore, si sale e dopo la prima pedalata entra in funzione il motore elettrico. Costo: 20 centesimi al minuto, 10 in meno di un motorino elettrico. Non pochi.
Corrono veloci le Jump, traballano sui sampietrini, ma alla fine sembrano stabili. E poi per le strade di Roma non c’è mezzo che non tremi. La scelta era in qualche modo ovvia: quella italiana è l’unica capitale europea di rilievo dove Jump non era ancora presente e soprattutto non c’erano altri servizi del genere.
In Italia, in generale, le bici elettriche vanno a gonfie vele, stando ai dati del Politecnico di Milano presentati di recente a That’s Mobility: le vendite di quelle tradizionali 2018 sono state pari a circa 1,4 milioni, in calo del 7,7 per cento rispetto al 2017, mentre le elettriche si attestano a circa 173 mila unità con un tasso di crescita del 16,8 per cento. E ci sono 35 mila e ottocento unità per il bike sharing, ma sono ancora poche quelle elettriche: l’8 per cento, circa 2800 in tutto. Grazie a Uber però potrebbero raddoppiare.
Condividi L’azienda fondata nel 2009 a San Francisco dal terribile Travis Kalanick, il più odiato dai tassisti e costretto poi a lasciare in seguito agli eccessi d’ira in pubblico, agli scandali e al clima aziendale irrespirabile che aveva permesso, dice di aver cambiato pelle. Guidata da Dara Khosrowshahi, l’attitudine è ora più conciliante e cauta. Punta però a diventare il centro di ogni forma di mobilità: macchine, taxi, monopattini, biglietti per il trasporto pubblico e appunto biciclette elettriche. L’idea è di offrire una sola app per andare dal punto A al punto B con qualsiasi mezzo disponibile. Sogno di conquista via smartphone che accarezza, fra le altre, anche Daimler.
“Sono curioso di vedere come andrà, è un esperimento interessante”, spiega Massimo Ciuffini, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale della Sharing Mobility. “A Parigi Jump è di gran moda. Resta da vedere come risponderanno i romani”. Alla fine la vera grande incognita.
REP.IT
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