Quanto ha pasticciato Conte con l’intelligence?
È il cuore della questione che riguarda Conte, chiamato davanti al Copasir a chiarire quale ruolo ha agito in questa vicenda e a fugare il sospetto di aver aperto, in solitaria, un canale privilegiato con gli Stati Uniti anche grazie alla condivisione di informazioni riservate. Ruolo agito, così almeno sembra da più ricostruzioni, senza informare i partner di governo, né la Lega del primo incontro né il Pd del secondo. Altra anomalia sempre nel campo della “irritualità politica”. Sempre nella stessa legge, all’articolo 3, si prevede che il presidente del Consiglio, “ove lo ritenga opportuno può delegare le funzioni che non sono ad esso attribuite in via esclusiva soltanto a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario di Stato”, pur rimanendo il “responsabile” della politica per l’informazione e per la sicurezza. Può, non deve. Alcuni premier hanno delegato, altri, come gli ultimi due no. Il punto non è la responsabilità in ultima istanza, che resta del premier, ma “l’opportunità politica”. Proprio l’assenza di “delega” consente l’assenza di condivisione. Anche in questo caso, c’è antica consuetudine secondo cui eccetto che per il segreto di Stato, che riguarda gravi emergenze, c’è una opportunità che spinge a informare il comitato ristretto del Consiglio dei ministri. E questo non è avvenuto, stando alle dichiarazioni ufficiale, né nel primo caso né nell’altro.
E questo rende legittima la seconda domanda, che attiene all’oggetto dell’incontro, autorizzato senza informare nessuno. Che non è una questione di “interesse nazionale”, tipo la messa in comune di informazioni che riguardano la lotta al terrorismo, sicurezza o approvvigionamento energetico, solo per fare alcuni esempi. L’oggetto è tutto “politico”. Gli americani cercano in Italia le prove che l’inchiesta Mueller sui rapporti di Trump con i russi sia stata un’invenzione dei democratici Usa. E la posizione di Washington è nota: l’idea è che le intelligence di alcuni paesi europei, come Inghilterra e Italia, abbiano aiutato un attacco alla democrazia in America. È una richiesta, dunque, che non riguarda l’interesse nazionale italiano ma che precipita la questione in un’orbita esclusivamente politica. L’autorizzazione degli incontri concessa dal presidente del Consiglio, porta cioè il nostro paese dentro una dinamica politica americana, proprio nel momento in cui pende – e questo vale a prescindere da come finirà – una richiesta di impeachment, arrivata dopo che è emerso che Trump avrebbe fatto pressioni su un leader straniero – il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – perché aprisse un’indagine nei confronti di Joe Biden, ex vicepresidente americano e suo probabile sfidante di Trump alle elezioni del 2020. È chiaro ciò che gli americani cercano in Italia: la pistola fumante che Trump viene tirato in una trappola, perché il venir meno del rapporto Muller mina politicamente l’intera strategia dell’impeachment su cui stanno lavorando i democratici. È, insomma, un terreno che travalica i compiti istituzionali della nostra intelligence.
Non è banale la “segretezza” con cui il presidente del Consiglio ha gestito il dossier, senza condividerlo mai a livello di governo. Il primo incontro è del 15 agosto, dunque si presume sia stato “autorizzato” prima, quando Conte era il capo di un governo “sovranista” sia pur traballante. L’obiettivo di Barr è scoprire se il nostro paese ha avuto un ruolo nel Russiagate e se i nostri 007 hanno aiutato a trovare un rifugio sicuro Joseph Mifsud, il professore della Link Campus di Roma che nel 2006 avrebbe informato George Papadopulos (all’epoca consigliere della campagna di Trump) dell’esistenza. Dopo quel primo incontro ce n’è un secondo il 27 settembre con il capo del Dis Gennaro Vecchione e i direttori dell’Aisi e dell’Aise, nell’ambito di una interlocuzione con Washington che resta aperta durante il cambio di governo. In mezzo c’è l’ endorsement di Trump a “Giuseppi”.
Ecco: l’eventuale omaggio a Trump chiama in causa le presunte responsabilità dei governi del Pd, di quello cioè che stava diventando il principale alleato di Conte. Di qui una terza domanda: oltre agli incontri c’è stata una collaborazione attiva della nostra intelligence? Esistono dei report che certificano una presunta attività di indagine sui precedenti governi italiani, quelli di Renzi e Gentiloni? Anche di questo sarà chiamato a rispondere Conte al Copasir, nella consapevolezza che “la prova del nove” delle sue dichiarazioni sono i report che presumibilmente, come accade in questi casi, avrà stilato Barr al ritorno dalle sue visite italiane.
Questa vicenda, su cui sono impegnati due dei più importanti giornali di inchiesta al mondo, il New York Times e il Washington Post, è cruciale nella vicenda americana. Ma anche in quella italiana, nella misura in cui il premier ha messo il paese in una situazione “istituzionale” molto delicata: Trump, sulla medesima questione, ha coinvolto tre governi: quello australiano di Scott Morrison quello inglese di Boris Johnson, e quello italiano. È un caso? Forse è il segno che nella sua testa c’è un criterio di “omogeneità” politica per una questione politica. Ma che c’entra con i compiti istituzionali della nostra intelligence?
L’HUFFPOST
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