Manovra 2020, partiti all’assalto. Conte teme imboscate
Sul regime forfettario per le partite Iva l’accordo c’è in parte: delle tre clausole anti-evasione chieste dalla sottosegretaria Guerra i grillini ne hanno per ora accettate due. Ma il problema non è qui, bensì nel fatto che comunque bisognerà reperire i fondi che vengono a mancare per lo stop alla stretta sulle partite Iva e altri buchi potrebbero crearsi. Renzi, infatti, promette battaglia non solo su Quota 100 ma anche sulla sugar tax, sostenuta invece dai 5 Stelle, e sulla cedolare secca nei contratti d’affitto dove il disagio pentastellato è ben maggiore.
Nessun problema invece per quella che in altri tempi e con altri governi sarebbe stato uno scoglio insormontabile: la lettera dell’Europa. Anche in questo caso il premier si è affrettato a buttare acqua sulle fiamme: niente di strano, ordinaria amministrazione, un atto dovuto. Sia perché con la manovra 2020 l’Italia non riduce il suo debito. Sia perché presenta un peggioramento del deficit strutturale dello 0.1 per cento rispetto all’aggiustamento raccomandato da Bruxelles dello 0,6 per cento. Oggi il ministro Gualtieri spedirà la risposta: ieri, però, ha anticipato ai parlamentari Pd che non solo fornirà tutti i chiarimenti richiesti ma, in particolare specificherà che le entrate dovute alla lotta all’evasione sono in realtà una stima prudente: “Non ne promettiamo 7 ma solo 3 direttamente”.
Altrettanto certamente figurerà l’abbassamento dello spread: sarà il risparmio sugli interessi a compensare lo scostamento. “Ci permetterà di risparmiare fino a 18 miliardi, 630 euro per ogni contribuente”, sottolinea Conte. I mercati confermano: lo spread è sceso ieri sotto i 130 punti base. Senza dubbio sull’ennesima risposta positiva dei mercati hanno pesato le parole del commissario Ue Moscovici: “Non c’è nessuna crisi di bilancio con l’Italia – avverte – il clima è disteso, l’Italia risponderà serenamente”. Nonostante l’estrema disponibilità di Bruxelles verso il governo amico considerato una diga contro il sovranismo non solo di Salvini, qualche residua preoccupazione a Palazzo Chigi c’è: la commissione deve comunque rendere conto ai 27 Paesi dell’Unione. Basterebbe una richiesta minima, anche solo pari allo 0.1% del Pil, per costringere l’esecutivo a trovare un miliardo e ottocento milioni. Ma è una possibilità remota. La solidarietà europea dovrebbe essere a tutto campo, anzi a tutto conto.
Più inquietante il disappunto di Bruxelles per la rissa in Italia e la paura che la manovra venga stravolta in Parlamento. Non succederà: alla fine la quadra in un modo o nell’altro si troverà. Ma dal punto di vista politico il quadro è meno confortante e questo spiega il pessimismo che si respira in questi giorni nei palazzi: la manovra avrebbe dovuto essere la prova di una unione d’intenti che va oltre la necessità di evitare una sconfitta elettorale. Così non è stato: al contrario si è scatenata una competizione senza esclusione di colpi per la conquista del consenso di ampie fasce di popolazione. Elemento ancor più preoccupante è che il conflitto è esploso a una settimana dalle elezioni regionali in Umbria, prova che in questa situazione ha assunto un significato che va ben oltre la scelta di un governatore. Con Renzi e Di Maio più che mai decisi a tener alti i decibel nulla autorizza a sperare che nelle prossime settimane le cose cambino.
Il governo insomma potrebbe arrivare a gennaio con la manovra approvata ma senza più ossigeno. Di qui, il monito di Franceschini: “Abbiamo il dovere di governare e arginare la destra. Ma se l’esecutivo cade, si va a votare”.
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