Ex Ilva, braccio di ferro ArcelorMittal-governo. Con lo spettro di più cig
I sindacati sono sul piede di guerra per la situazione che si è creata. “Dall’azienda ci arrivano segnali di persone che non vogliono rischiare condanne facendo il loro lavoro, applicando la legge”, dice il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli, parlando delle reazioni di “impiegati e quadri” di ArcelorMittal a Taranto a seguito della soppressione delle scudo penale. Per il sindacalista “il governo non si è reso conto di quello che ha fatto”. Sempre dal Mise fanno sapere che, per il momento, non c’è allo studio un provvedimento ad hoc per ripristinare le tutele legali, che una pattuglia di senatori grillini molto agguerriti aveva chiesto di stralciare e così è stato. Ritentare dunque sarebbe inutile.
Nella maggioranza c’è chi indica la manovra come veicolo per reinserire le tutele legali. Si parla anche di uno scudo light, circoscritto nel tempo. O di trovare il modo di reperire fondi per la conversione tecnologica del sito e il risanamento ambientale, stando ben attenti a non cadere sotto la mannaia degli aiuti di Stato. C’è poi l’ipotesi, lanciata dal grillino Andrea Cioffi, di aprire un tavolo istituzionale con i ministeri interessati e il territorio per fare un ‘tagliando’ all’accordo. Insomma rinegoziarlo, ma trattandosi di un accordo europeo questa strada appare impraticabile. Qualcuno si spinge fino a parlare dell’ingresso pubblico nel capitale dell’azienda.
Su tutto questo è in corso un vero e proprio scontro dentro la maggioranza. “Il Pd vuole salvare in ogni modo gli stabilimenti ex Ilva, garantendo una conversione ecologica della produzione”, sottolinea il capogruppo Andrea Marcucci una volta approvato il decreto. E per far questo e per salvare i posti di lavori, di certo serve una soluzione normativa immediata per reinserire le tutele legali, poiché ArcerolMittal, prima dell’estate quando l’ipotesi era stata solo ventilata, aveva minacciato l’addio a Taranto e ora concede non oltre dieci giorni di tempo. Il termine è dunque il 3 novembre, ultimo giorno utile per approvare il decreto.
“Deve essere chiaro al governo e a Mittal che noi abbiamo firmato un accordo che va rispettato in tutte le sue parti. Non ci sono esuberi ed è importante che il governo convochi rapidamente il tavolo”, avvisa il segretario generale Cgil Maurizio Landini, mentre il leader Uil Carmelo Barbagallo avverte: “C’è il rischio che Mittal non produca più acciaio in Italia, non possiamo dare alibi a chi vuole lasciare il nostro Paese”. Cancellare lo scudo penale è un fatto “grave” anche per l’Ugl, con il segretario generale Cisl Annamaria Furlan che sottolinea come averlo tolto “può fortemente compromettere l’accordo” siglato il 6 settembre 2018. Poiché lo stesso accordo prevedeva lo scudo penale.
Senza di questo e alla luce di una produzione che a fine anno si attesterà attorno ai 4 milioni e mezzo di tonnellate anziché 6 milioni come da contratto, l’azienda potrebbe anche decidere di ridurre nel 2020 i posti di lavoro. Per adesso ci sono 1400 cassintegrati ma il numero potrebbe salire.
L’HUFFPOST
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