Draghi il costruttore
Draghi è stato però sempre rigorosamente rispettoso dello Statuto della Bce e dei Trattati Europei, come ha stabilito la Corte di Giustizia europea. Nello stesso tempo, Draghi ha portato la Bce a un livello non dissimile alla Fed cioè a essere una banca centrale adatta a grandi aggregati economico-finanziari. Quindi la nuova politica della Bce è sempre stata calibrata sull’obiettivo di riportare l’inflazione verso il 2% annui, mentre le innovazioni si sono avute sugli strumenti utilizzati e sulle loro conseguenze.
Due sono state le grandi strumentazioni usate. La concessione di ampia liquidità, a condizioni di vantaggio, ai sistemi bancari dell’Eurozona, ma anche gli incentivi ad aumentare la loro erogazione di credito ai sistemi economici. L’acquisto diretto, tramite le banche centrali nazionali, dei titoli di Stato dei Paesi membri dell’Unione monetaria. Semplificando, si potrebbe dire che le prime strumentazioni erano rivolte al sistema privato e le seconde al sistema pubblico, anche se poi nei fatti si sono avute molte combinazioni.
A questi interventi sono seguite conseguenze dirette e indirette. Quelle dirette hanno portato a immettere nel bilancio della Bce una grande quantità di titoli, ad abbassare i tassi di interesse fino allo zero, a ridurre il costo di finanziamento dei debiti pubblici per vari Paesi pure allo zero o in negativo su tutta la durata temporale delle emissioni (come per la Germania e per molti altri) e ad abbassare ai minimi storici i tassi dei titoli di Stato (per tutti e per l’Italia). Quelle indirette hanno favorito enormemente la ripresa in media della economia dell’Eurozona e dell’Ue e il calo della disoccupazione.
Molti sono i distinguo possibili, ma credo nessuno possa affermare che senza queste misure l’euro avrebbe resistito alla crisi. Detto in altri termini, nessuno ha credibilmente fornito ricette alternative che avrebbero portato allo stesso risultato. Anche perché un conto è scrivere saggi, un altro è decidere su scelte così difficili, mentre la politica economica europea era debole e ondivaga.
Quali politiche future in Europa
Draghi ha detto e ripetuto, con un crescendo negli ultimi tempi, che le politiche della Bce adesso non hanno altri spazi risolutivi di intervento davanti, e che devono accentuarsi le riforme strutturali sia a livello dell’Eurozona, sia a livello di Stati membri, per assicurare uno sviluppo dell’economia europea.
In occasione di tre lauree honoris causa in Italia tra il dicembre 2018 e l’ottobre 2019 – alla scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, all’Università di Bologna, all’Università Cattolica di Milano – Draghi ha espresso le sue convinzioni europeiste, ma anche le sue preoccupazioni che richiamiamo con passi da me scelti e ricombinati delle tre lezioni.
A Milano ha ricordato che “la creazione dell’Unione europea, l’introduzione dell’euro e l’attività della Bce hanno incontrato molti ostacoli e hanno dovuto fronteggiare molte critiche. Hanno dimostrato nondimeno il loro valore; oggi sono coloro che dubitavano a essere messi in discussione. Ciò riflette lo sviluppo normale delle unioni monetarie, che è lento, non lineare, accidentato. Gli Stati Uniti, ad esempio, non ebbero una banca centrale per più di 130 anni dopo la loro fondazione; il bilancio federale ha assunto un vero ruolo solo negli anni Trenta dello scorso secolo. Oggi pochi penserebbero di ritornare indietro”.
A Pisa ha ricordato con i dati come l’integrazione tra moneta unica e mercato unico abbia portato enormi vantaggi a tutti i cittadini europei e come nell’epoca della globalizzazione le soluzioni nazionali di piccoli Stati non avrebbero retto. Ha poi segnalato che “non è stato per una pulsione tecnocratica ad assicurare la convergenza fra paesi e il buon funzionamento dell’unione monetaria che in questi anni ho frequentemente affermato l’importanza delle riforme strutturali”. Proseguendo poi nel dire che le molte indispensabili azioni a livello nazionale per far crescere stabilmente salari, produttività, occupazione e per sostenere il nostro stato sociale vanno sostenute a livello europeo. Queste sono scelte strutturali per tenere il passo del XXI secolo, ma anche per affrontare le crisi cicliche future. Infatti “occorre che i due strati di protezione contro le crisi – la diversificazione del rischio attraverso il sistema finanziario privato da un lato, il sostegno anticiclico pubblico attraverso i bilanci nazionali e la capacità fiscale del bilancio comunitario dall’altro – interagiscano in maniera completa ed efficiente”.
A Bologna, trattando di sovranità in un mondo globalizzato, Draghi ha inoltre affermato che ”nel mondo di oggi le interconnessioni tecnologiche, finanziarie, commerciali sono così potenti che solo gli Stati più grandi riescono a essere indipendenti e sovrani al tempo stesso, e neppure interamente. Per la maggior parte degli altri Stati nazionali, fra cui i paesi europei, indipendenza e sovranità non coincidono. L’Unione europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli Europei. L’Ue è stata un successo politico costruito all’interno dell’ordine internazionale emerso alla fine della seconda guerra mondiale. Dei valori di libertà, pace, prosperità, su cui quest’ordine si fondava, l’Unione europea è stata l’interprete fedele.”
Conclusioni
Draghi è un modello di visione e di professionalità straordinario che ha sostenuto una coerenza di policy che passerà alla storia della costruzione europea, ma anche di quella ben più lunga delle banche centrali e del Governo della moneta. La nuova presidente della Bce, Christine Lagarde, riceve un’eredità importante, ma anche pesante, perché crescerà la pressione su di lei da parte dei “settorialisti”, per smontare le politiche di Draghi e quindi per riportare la Bce a essere un’appendice della Bundesbank tedesca. Sarebbe un danno anche per la Germania, già in recessione. Lagarde dovrà perciò insistere affinché le politiche di rilancio della crescita con investimenti passino attraverso un bilancio forte dell’Eurozona, anche con l’emissione di eurobond che servirebbero anche a ricollocare parte dei titoli di Stato che oggi sono nel portafoglio della Bce. Anche perché una situazione con tassi di interesse zero, bassa crescita e bassa inflazione indica un pericolo grave di stagnazione. Dovrebbe adesso, invece, aprirsi un ulteriore progresso nella costruzione europea, sempre in quella combinazione di Federalismo, Confederalismo e Funzionalismo che caratterizza l’area euro e l’Unione europea. Vedremo se questo accadrà. Intanto esprimo la mia stima profonda a un italiano europeista che si è laureato in Italia con Federico Caffè e quindi ha conseguito il dottorato negli Usa con Franco Modigliani (maestri che Draghi ha spesso ricordato), che ha avuto ruoli importanti in istituzioni pubbliche internazionali ed italiane dando prova che competenza e visione, coraggio e consapevolezza, dovevano e potevano andare assieme.
L’HUFFPOST
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