Dal Papeete al Ppe: svolta leghista
Non significa che nel giro di poco la Lega abbandonerà il gruppo dei sovranisti ‘Identità e democrazia’, che all’Europarlamento è casa comune con Le Pen, i tedeschi dell’Afd e altri. Né l’obiettivo è quello di arrivare a votare sì alla Commissione europea Ursula von der Leyen che – se non ci sono ulteriori intoppi – dovrebbe essere sottoposta al voto della plenaria di Strasburgo a fine novembre. A luglio, il no dei leghisti alla nuova presidente della Commissione Ue, maturato all’ultimo minuto dopo ore di discussioni convulse nella Lega, è stato l’atto che ha definitivamente impedito a Salvini di entrare nella ‘sala dei bottoni’ del potere europeo e che poi lo ha portato fuori dal governo anche in Italia. Ora dire sì, quando l’Europarlamento voterà su tutta la squadra, sarebbe un po’ rimangiarsi le accuse di tradimento al Movimento cinquestelle, che a luglio sostennero von der Leyen a differenza dell’allora alleato di governo.
Il punto non è questo. Perché questa nuova svolta di Salvini ha bisogno di tempo, guarda oltre il voto di fine mese a Strasburgo. E il tempo pare proprio che ci sia. E dunque, ragionando in prospettiva, il leader e i suoi sono convinti del fatto che, quand’anche la Lega vincesse in tutte le regioni interessate al voto da qui all’anno prossimo, non sarebbe scontata una crisi del governo Pd-M5s. Certo l’esecutivo si ritroverebbe sempre più terremotato, ma la porta del voto anticipato potrebbe restare sbarrata. In fondo, il governo in carica ha una missione ‘benedetta’ innanzitutto da Bruxelles: tenere Salvini fuori dal governo, perché l’Ue non può rischiare di ritrovarsi un’Italia a guida sovranista, con un presidente della Repubblica sovranista allo scadere del mandato di Mattarella nel 2022.
La situazione è bloccata. Non solo per Salvini che sogna le urne delle politiche. Ma anche per Pd e Cinquestelle, costretti a stare insieme contro il ‘nuovo pericolo democratico’, obbligati a reggere un’alleanza dall’amalgama non riuscito e col rischio di perdere voti, giorno dopo giorno, mentre stanno lì a difendere i bastioni della democrazia. E’ per questo che Salvini si è deciso a dare avvio, pian piano, ad una manovra molto delicata per rompere il suo stesso isolamento a livello internazionale, senza perdere voti. Complicato, ma necessario.
L’idea, maturata ai piani alti della Lega, è di agganciare la famiglia politica che ancora conta molto nel potere europeo, il Ppe, il primo gruppo all’Europarlamento. Il ritrovato rapporto con Forza Italia sarà utile a questo fine. Eurodeputati azzurri come Antonio Tajani e Massimiliano Salini sono sempre stati a disposizione per agevolare i rapporti tra Ppe e Lega. E, insieme ad altri, lo sono anche oggi. La mediazione di Forza Italia dunque c’è, tanto più che ora il rapporto tra Salvini e Berlusconi sembra rinato: magari proprio per queste intese di respiro europeo.
L’idea è di andare oltre il rapporto sempre buono con l’ungherese Viktor Orban, esponente del Ppe. Si punta ad agganciare i veri potenti d’Europa, la Cdu tedesca, in un momento in cui è divisa al suo interno, attraversata dalle tensioni tra il capogruppo Manfred Weber, candidato alla guida della Commissione alle europee, e la presidente poi effettivamente nominata, la tedesca von der Leyen appunto. Tra l’altro era proprio Weber la ‘spalla’ della Lega nel Ppe, quando l’anno scorso, leghisti come Fontana, ex eurodeputato, tentarono un dialogo col Ppe a nome di tutti gli altri sovranisti. Si tratta di ricominciare da lì.
Naturalmente, malgrado tutti i cordoni sanitari che hanno escluso i sovranisti dalle istituzioni europee, Salvini pensa di avere comunque delle carte a suo favore, dettate dal fatto che in questo momento l’Europa è ancora molto debole. Non ha risolto il caos Brexit, ha dovuto rinviare l’insediamento della nuova Commissione von der Leyen, all’Europarlamento c’è una situazione frammentata: con l’arrivo dei Liberali (Renew Europe) in maggioranza con Ppe e Socialisti, fioccano sgambetti degli uni contro gli altri, come dimostrano le tre bocciature dei candidati di Francia, Romania e Ungheria per la Commissione Ue.
Insomma in questa cornice, la Lega è convinta di potersi inserire: compiendo dei passi in modo da dimostrare di avere tela diplomatica da tessere e sperando che anche il Ppe si giri più a destra: per costruire in Europa alleanze di centrodestra sul modello italiano. Un incontro a metà strada ma non troppo. Visto che ora è più interesse di Salvini conquistare il ‘passaporto’ di accesso al potere. E il leader leghista parte da un gruppo europeo isolato in Europa, composto da sovranisti che non sono al governo, come Le Pen e Afd per non parlare degli austriaci di Fpo in vera e propria crisi, tutti all’opposizione nei loro paesi. L’alleata Giorgia Meloni, per dire, è messa meglio: perché fin dall’anno scorso, per gli eletti di Fratelli d’Italia alle europee, ha scelto il gruppo dei Conservatori e Riformisti, dove ci sono anche gli eurodeputati del potente premier polacco Kaszynski. Salvini invece è forte in Italia e debolissimo in Ue, di fatto ‘reietto’.
Non bastano i voti, serve anche la credibilità internazionale in un mondo che vive di interconnessioni tra gli Stati. Una verità che prima Salvini chiamava ‘complotto’. Ora pare voglia attraversarla: alternativa non c’è, pena rimanere fuori dalla porta. Di nuovo.
L’HUFFPOST
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