L’epoca dei tentativi di suicidio (politico)
Ciò che è peggio, il governo non ha nemmeno una vera
maggioranza politica, pur disponendo di quella numerica in Parlamento.
Esattamente come nel Conte 1, i rapporti tra i partiti che la compongono
sono infatti basati sul «mors tua vita mea», non su una convenienza
reciproca a far bene. Ognuno è convinto che il mal comune del governo
possa essere un mezzo gaudio per sé. Con l’aggravante che stavolta il
gioco è a tre: oltre alla competition tra i due big c’è Renzi, che cerca
disperatamente voti a danno di tutti, pur ripetendo a tutti di stare
sereni. Solo che il Matteo di questo giro vale sei volte meno nei
sondaggi dell’altro Matteo. Il che rende il clima della lite continua
nel governo anche più insensato, surreale, quasi kafkiano.
Il
«festival delle tasse», messo su in occasione della Finanziaria, è stato
da questo punto di vista un vero e proprio tentativo di suicidio
politico, amorevolmente assistito da Italia Viva. Il governo ha tagliato
26 miliardi di tasse (23 del disinnesco dell’Iva e 3 del cuneo
fiscale): non una cosa da poco, visto che Salvini aveva fatto cadere il
Conte 1 «preventivamente» anche per evitare l’ostacolo della manovra e
il rischio di impopolarità. Ma, ciò nonostante, il Conte 2 passerà alla
storia per la tassa sulle merendine, che poi non ha messo, e per quella
sulla plastica, che forse dovrà ridurre (o «rimodulare») ben al di sotto
del miliardo previsto. Questa débâcle del «fisco percepito», come lo ha
brillantemente definito Daniele Manca sul Corriere,
non è solo frutto di una cattiva comunicazione, ma di una cattiva
politica. Perché nell’infinito elenco di possibili misure che i tecnici
del Tesoro ogni anno portano al tavolo della legge di bilancio per far
cassa, il gioco perverso di posizionamento dei partiti ha fatto
scegliere quelle di natura ideologica o pedagogica, per punire i
«cattivi» e premiare i «buoni», secondo una visione etica del fisco che
da sempre spaventa più di quanto ottiene.
Ai difetti storici della sinistra italiana si aggiungono poi le tare demagogiche del Movimento Cinque Stelle e la sua profonda divisione interna, ormai quasi esistenziale. Si deve a questa se il governo Conte rischia di passare alla storia per aver fatto chiudere l’Ilva di Taranto, l’1,4% del Pil nazionale. È ovvio che l’Italia non se lo può permettere. Le ragioni che consigliarono qualche mese fa di evitare una nuova (e permanente) campagna elettorale, sono oggi rese finanche più valide dall’aggravarsi della prospettiva economica e della tensione sociale. Ma i partiti che sono al governo devono sapere che se continueranno a tradire quelle ragioni per un sondaggio si prenderanno sulle spalle una colpa che gli italiani non dimenticheranno; mettendo così a rischio, oltre che le sorti del Paese, anche le proprie.
Nessuno dei partner di governo può davvero sperare di ergersi vincitore sulle macerie del governo. Ma per evitare il disastro bisogna che le cose cambino radicalmente, e subito. L’altro giorno la ministra Bellanova, reagendo con un tweet al comunicato di ArcelorMittal che annunciava il disimpegno da Taranto, ha chiesto che «il governo intervenga». Era una voce dal sen fuggita, ma utile a spiegare che cosa non va: i ministri e i rispettivi partiti devono ricordarsi che il governo sono loro, invece di parlarne in terza persona; e il presidente del Consiglio deve prendere nelle proprie mani quelle redini che già nella sua esperienza precedente gli sfuggirono.
Non siamo sicuri che ne abbiano ancora il tempo: ma di certo ne hanno il dovere democratico. .
CORRIERE.IT
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