Maurizio Landini all’Huffpost sull’ex Ilva: “Il governo rimetta lo scudo”
E il governo?
Sarebbe utile riprendere la discussione sulla presenza pubblica. Si potrebbe, ad esempio, pensare a un ingresso con quote di minoranza di CDP o di un altro soggetto pubblico nell’assetto societario. È un tema già emerso ai tempi dell’accordo che varrebbe la pena riprendere. Ciò consentirebbe di dire che il governo è interessato alla realizzazione del progetto e di tenere una funzione di controllo per conto del paese, dei lavoratori e della città di Taranto su quanto avviene. Aggiungo, c’è un altro concetto che deve essere chiaro: la bonifica di un territorio è possibile farla solo se non si chiudono le attività industriali, dove ci sono risorse per investire e se c’è un rapporto col territorio. Bagnoli insegna.
Mi spieghi una cosa, anche in vista dell’incontro di domani del governo con Mittal. Lei dice: togliere le tutele penali, è un alibi per andarsene. Ma i presupposti giuridici ci sono come dice Calenda o non ci sono come dice Conte?
Sul piano legale non mi ci metterei né se fossi nei panni del governo né in quelli di Mittal perché si sa quando si inizia e non si sa come e quando si finisce. Ora è il momento di impedire che avvenga ciò che è stato minacciato.
Le confesso: sono colpito dai suoi toni, diciamo così, molto costruttivi. Mi sarei aspettato fuoco e fiamme perché tanti governi hanno sbagliato su Taranto ma il Conte 2, cambiando la norma del Conte 1, ha fatto un bel disastro. Invece vedo che lei non sta qui a denunciare le sue responsabilità.
Questo è il momento della responsabilità da parte di tutti. È il momento di avere a cuore il destino di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie, di pensare al futuro industriale del Paese. Il problema non è cercare il capro espiatorio. È arrivato il momento di riconoscere che se quello prima di te al governo ha fatto cose giuste, si tengono e e non si cambiano. Quello che manca è una idea di sistema che vada oltre la ricerca di una polemica politica. E, a tempo stesso, dico che la multinazionale non può pensare di usare l’Italia come terreno di conquista di quote di mercato.
Pensa che Mittal stia usando la questione per riaprire il capitolo degli esuberi, di fronte a una produzione andata peggio del previsto?
Faccio notare che nel comunicato stampa di Mittal non c’è solo lo scudo. Ma ci sono anche tante altre cose altre affermazioni. Parliamoci chiaro: loro non sono cappuccetto rosso entrato nel bosco. Conoscevano bene la situazione, l’hanno studiata a fondo prima di decidere, non hanno scoperto all’improvviso le difficoltà. Lo sapevano prima. Quindi, di fronte a un problema vero, la tutela legale per chi vuole investire, non vorrei ci fosse la tentazione di riaprire il piano industriale che è stato approvato. Si sappia che, su questo, il sindacato non farà sconti a nessuno.
Che clima c’è a Taranto? Ci saranno manifestazioni sindacali? Lei andrà?
C’è un clima di grande preoccupazione. E non c’è solo Taranto, ma Genova, Milano, Alessandria. L’Ilva riguarda 20mila persone, compreso l’indotto. È una dimensione grandissima, ed è normale che ci sia grande apprensione dopo sette anni che quelle lavoratrici e lavoratori si trovano nell’occhio del ciclone.
Insisto, qui rischia la chiusura la più grande fabbrica d’acciaio d’Europa, 1,4 punti di Pil nazionale, c’è un pasticcio enorme da dipanare, e in questa sua conversazione il capo del più grande sindacato italiano non inchioda nessuno alle sue colpe.
Perché è il momento non di guardare le cose per interesse politico, ma nell’interesse delle persone che lavorano e nell’interesse di questo paese. Mi sembra di fare ciò che è giusto per la parte che rappresento.
Il “piano b” quale è? L’altra cordata di cui parla Renzi o una massiccia partecipazione statale?
Io sono abituato forse al pragmatismo sindacale, ma sto al “piano A”. Quando c’è un accordo firmato e approvato dal 90 per cento dei lavoratori interessati il punto è rispettare quell’accordo che vincola governo, Mittal e sindacati. Questo è il punto di fondo. E auspico che l’incontro di domani rimetta la questione sui binari giusti e mi aspetto che l’esecutivo convochi anche le organizzazioni sindacali.
Ilva, poi Whirpool, Alitalia, c’è un enorme problema di politica industriale, che investe il governo.
Con onestà è il problema degli ultimi 20 anni e ha riguardato tutti i governi. Noi ieri abbiamo esplicitamente posto questo tema al governo. Non a caso nei quattro tavoli che si apriranno tra esecutivo e parti sociali ce n’è uno sugli investimenti e abbiamo detto che questi tavoli devono diventare una sorta di cabina di regia, perché fare politica industriale significa avere una idea precisa di sviluppo del paese e un coordinamento tra i diversi soggetti interessati. Penso si debba partire da una nuova idea di intervento pubblico. Del resto Eni, Enel, Fincantieri, Poste, Finmeccanica, Terna, e tanti altri grandi asset strategici sono pubblici.
Che risponde a chi le dice che si muove nella logica del “governo amico”?
Che non abbiamo mai avuto governi amici. A questo come ai precedenti abbiamo detto che se si riducono le tasse a lavoratori e pensionati e ci si impegna in una la lotta stringente all’evasione il sindacato darà tutto il proprio appoggio. Poi ci sono capitoli che nel corso della discussione sulla legge di stabilità hanno avuto risposte che riteniamo insufficienti: pensioni, contratti pubblici, autosufficienza solo per citarne alcuni. Il ruolo del sindacato è questo, valutare nel merito e giudicare le singole questioni, senza pregiudizi con l’obiettivo di portare a casa risultati certi e positivi per chi rappresentiamo.
L’HUFFPOST
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