La forza di una donna capace di non odiare

I sopravvissuti stanno scomparendo, uno a uno. La crudeltà dell’anagrafe cancella la testimonianza di chi ha vissuto come vittima quel vortice di orrore, di chi, come Primo Levi, è tra i pochi che sono usciti vivi dai campi, mentre il resto delle loro famiglie veniva sterminato. Liliana Segre, con la calma dei forti, racconta ciò che è avvenuto perché non se ne perda traccia.

È questa calma, questa forza, questa determinazione a far impazzire di rabbia gli intolleranti e i fanatici, chi ha in corpo il veleno dell’antisemitismo. Un antisemitismo che non muore mai, e che in Europa ha preso forme nuove e ancora più pericolose, dove con l’antico odio antiebraico di matrice nazista si mescola e si salda un’avversione assoluta per la presenza storica degli ebrei, a cominciare dalla voglia di annientamento di Israele, lo Stato degli ebrei. Qualche mese fa, a Parigi, un manipolo di gilet gialli stava per linciare il filosofo Alain Finkielkraut apostrofandolo con urla che dicevano «sporco ebreo» e «sionista». «Sionista» usato come arma contundente dai nuovi antisemiti. Recentemente a Roma, un gruppo di fanatici ha auspicato che il Caffè Greco, uno storico ed elegante caffè della Capitale, non finisse nelle mani dei «sionisti», che poi sarebbero gli amministratori dell’Ospedale Israelitico, proprietario del locale. Anche qui: «sionisti» come sinonimo di «ebrei». Ecco come si alimenta l’odio per Liliana Segre e per ciò che lei rappresenta.

L’Italia deve difendere in modo compatto e unito Liliana Segre. Non è solo la scorta che deve difenderla. Gli esponenti della destra italiana che in Parlamento non si sono alzati in piedi come omaggio collettivo alla figura della senatrice a vita dovrebbero chiedere loro alla presidenza di riconvocare il Senato per applaudire Liliana Segre. Non è in discussione la legittima contrarietà alla Commissione parlamentare proposta dalla Segre e da lei presieduta. È in discussione la mancanza di rispetto verso una donna scampata alla Shoah, è in discussione la devastante prova di debolezza messa in mostra da chi non considera l’elementare solidarietà con una sopravvissuta all’orrore dello sterminio come un dovere primario, al di là di ogni dissenso, sempre possibile in una democrazia, ci mancherebbe. Oggi invece non dobbiamo esigere soltanto che Liliana Segre possa girare tranquilla per strada e non essere minacciata da chicchessia. Ma dobbiamo esigere che la battaglia contro l’antisemitismo sia un valore non negoziabile e che il conflitto politico anche duro, necessario in una democrazia liberale che non ha paura della diversità radicale delle opinioni e delle idee, si fermi di fronte al rispetto che è dovuto a una figura come Liliana Segre. Associare, come ha fatto Matteo Salvini (che poi in qualche modo ha cercato di recuperare), l’orrore per le minacce di morte a Liliana Segre alle parole d’odio che subisce il leader della Lega, significa non capire che non tutto è uguale ed equiparabile, che la Shoah non è un qualunque delitto politico, che Liliana Segre non è il bersaglio dei mascalzoni per ciò che dice o predica, ma per ciò che è: perché è ebrea, e gli ebrei sono ancora, nell’Italia del 2019, l’obiettivo di un odio incommensurabile e tenace. Ed è una vergogna infinita che Liliana Segre sia costretta a muoversi protetta da una scorta.

CORRIERE.IT

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