«Così la ‘Ndrangheta arruola i bambini soldato»

di Amalia De Simone

Aveva meno di dieci anni quando gli misero in mano una pistola. Se lo ricorda perché le dita erano piccole, l’arma pesante e nel tentativo di scarrellare si fece male al pollice. E’ Luigi Bonaventura, un collaboratore di giustizia che ha preso parte a decine di processi. Ha terminato il suo programma di produzione mentre la sua famiglia è ancora sotto la tutela dello Stato. Lui è stato un bambino soldato della ‘ndrangheta. «Si cresce in famiglie che ti inculcano la subcultura mafiosa con padri e zii che ti indottrinano al culto della famiglia ‘ndranghetista. Cominciano portandoti le armi in casa, insegnandoti a pulirle, a maneggiarle, a caricarle e magari ti fanno ripetere il “giochino”. Poi ti fanno vedere i fucili da assalto e tu che sei piccolo ne rimani affascinato. Assisti a perquisizioni, agli arresti, ti insegnano a disprezzare le forze dell’ordine. Sono tutte cose che alla fine, da bambino, ti condizionano e ti segnano la vita».
Bonaventura ricorda anche che veniva spesso portato al macello dove gli insegnavano a squartare gli animali ad avere confidenza con il sangue. «All’epoca io queste cose non le capivo, poi da grande ho compreso che era un modo per farmi prendere dimestichezza con la morte».

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