Così Venezia è stata tradita (di nuovo): Mose e progetti, oltre 50 anni di annunci caduti nel vuoto
Anche i più previdenti, come Giampietro Zucchetta che anni fa scrisse per Marsilio «Storia dell’Aqua Alta a Venezia», un libro che traboccava di cronache antiche e illustrazioni e rapporti scientifici, nulla hanno potuto davanti alla violenza delle acque. Al portone di casa aveva montato una robusta paratia che arriva a un metro e 75 centimetri. Più di così! Nella notte le acque se la sono portata via e la stanza d’ingresso è finita sotto.
Le foto pubblicate da Corriere.it dicono tutto. Gondole strappate
all’ormeggio e lasciate dalla corrente in mezzo alle calli e ai
campielli. Vaporetti sollevati da una forza possente e abbandonati di
sbieco sulle rive del Canal Grande. Alberghi di lusso come gli Gritti
completamente allagati coi divani e i tavolini del settecento
galleggianti tra le stanze mentre il ritratto di un doge guarda severo
appeso alla parete. Decine di vetrine sfondate. Negozi di moda e
suppellettili e vestiti travolti dalla marea, con le borse che affogano
in un’acqua sporca. Piazza San Marco totalmente
sotto, con rari turisti che si muovono prudentemente con gli stivaloni
sono così scossi da essere indecisi se fare o non fare la foto ricordo,
un po’ offensiva per quelli che stanno cercando di contenere i danni.
Negozianti con le mani nei capelli.
Solo la piena del ‘66
fu così devastante. Al punto di sollevare un’indignazione mondiale
contro il continuo aumentare dei giorni di acqua alta. E di spingere
Venezia, il Veneto, l’Italia, a cercare una soluzione. «Non c’è tempo da
perdere!», dicevano tutti. «Non c’è tempo da perdere!». Poi le acque si
ritirarono, il fango fu asciugato, le botteghe vennero riaperte, i
tavolini dei bar tornarono al loro posto e coi tavolini tornò al suo
posto anche il sole. I lavori «urgentissimi» si fecero «urgenti», poi
«necessari in tempi brevi», poi diluiti nei dibattiti: «Bisogna pensarci
bene».
Ci pensarono per vent’anni: vent’anni.
Il quadruplo del tempo impiegato anni dopo dai cinesi per costruire il
Ponte della Baia di Hangzhou. Poi decisero di aggiornare l’idea «molto
grandiosa» che un certo Augustino Martinello aveva proposto al doge nel
1672 e cioè di fare un «muro a archi» alle bocche di porto con «delle
porte da alzare e bassare per regolare le acque in caso di bisogno».
Due anni dopo, a cavallo fra ottobre e novembre del 1988, un pimpante Gianni De Michelis presentava
il prototipo di una delle paratoie che sarebbero state immerse nel mare
alle bocche di porto per sollevarsi ogni volta che fosse stato
necessario nei casi di acqua alta. Gongolò l’allora doge socialista:
«Per Venezia è un giorno storico. Per la prima volta si passa dai
progetti, dalle intenzioni, dai dibattiti e dalle chiacchiere a qualcosa
di concreto. Se tutto andrà bene, dopo questi mesi di sperimentazione,
potremo finalmente cominciare il conto alla rovescia per la sistemazione
di queste paratie che proteggeranno la laguna dall’acqua alta». Ciò
detto, battezzò quella che considerava una «sua» creatura: «Chiamiamolo Mosè». Appena nato, si legge sul Corriere
di quel giorno, segnava già un record: era «il prototipo forse più
costoso mai costruito al mondo. Una “brutta copia” da venti miliardi di
lire. È un colosso alto 20 metri, lungo 32, largo 25. Pesa 1100
tonnellate e vivrà circa otto mesi, il tempo di collaudare il
funzionamento della “paratia”, quell’enorme cassone piatto e
internamente vuoto, lungo 17 metri, largo 20 e spesso quasi 4, ancorata
agli angoli da quattro gru».
Ma i tempi? De Michelis era ottimista: l’obiettivo «resta quella del 1995».
Certo, precisava con qualche cautela: «Potrebbe esserci un piccolo
slittamento, visto che siamo partiti con tanto ritardo. Ma ormai il
processo è avviato». Da allora, mentre il Mosé perdeva l’accento afflosciandosi nel Mose, sono trascorsi trentuno anni.
Quasi quanti quelli passati dal Mosé biblico e dal suo popolo
nell’interminabile traversata del deserto. Dice il Deuteronomio: «La
durata del nostro cammino, da Kades-Barnea al passaggio del torrente
Zered, fu di trentotto anni, finché tutta quella generazione di uomini
atti alla guerra scomparve dall’accampamento…».
E qual è la situazione? Prendiamo
dall’Ansa l’ultima promessa, «elargita» il 12 settembre scorso: « È
fissata al 31 dicembre 2021 la consegna definitiva del sistema Mose, a
protezione della Laguna di Venezia dalle acque alte. La data è contenuta
nel Bilancio 2018 del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario per la
costruzione del Mose. La produzione complessiva svolta nel 2018 dal
Consorzio ammonta a 74 milioni di euro. Il completamento degli impianti
definitivi del sistema è previsto per il 30 giugno 2020, con l’avvio
dell’ultima fase di gestione sperimentale».
Rileggiamo: «fase sperimentale». Quarantadue anni di sperimentazioni. Di polemiche. Di sprechi. Di mazzette. Di inchieste giudiziarie. Di rinvii. Di manette. Di dimissioni. Di commissari. Di buonuscite astronomiche come quei 7 milioni di euro (duecentotrentatremila per ogni anno di lavoro: pari allo stipendio annuale del Presidente della Repubblica!) dati come liquidazione all’ingegner Giovanni Mazzacurati, il Deus ex machina del consorzio che se l’era filata a vivere in California, dove poi sarebbe morto, prima ancora di sapere come sarebbe finito il processo che avrebbe potuto condannarlo a risarcimenti milionari…
Otto miliardi di euro, contando anche i soldi per le opere di contorno, è costato finora il Mose: «Il triplo dei due miliardi e 933 milioni (euro d’oggi) dell’Autostrada del Sole. E come siamo messi? Notizia Ansa prima del disastro di questa notte, datata 31 ottobre: «Non c’è pace per il Mose di Venezia, la grande opera che dovrebbe salvaguardare la città e la laguna dalle alte maree. Dopo l’allungamento dei tempi per la costruzione, lo scandalo legato alle tangenti, ora un nuovo stop alla fase di test delle paratoie (…) Il Consorzio Venezia Nuova ha reso noto oggi che è stato rinviato a un’altra data il sollevamento completo della barriera posata alla bocca di porto di Malamocco. La ragione è dovuta al riscontro, avvenuto durante i sollevamenti parziali delle dighe mobili, il 21 e 24 ottobre scorso, di alcune vibrazioni in alcuni tratti di tubazioni delle linee di scarico. Un comportamento che ha indotto i tecnici del Consorzio allo stop, in attesa di verifiche dettagliate e di interventi di soluzione del problema». E intanto Venezia è andato di nuovo sotto. Col terrore che arrivino altri «effetti di non previste raffiche di vento»…
CORRIERE.IT
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