Venezia, la sposa del mare. Troppi nemici per l’indifesa Serenissima

di FRANCO CARDINI

Che Venezia muore, non è una cosa nuova. Anzi, diciamo pure che è normale. Tutti moriamo, fin da quando cominciamo a vivere. La Serenissima, così vittoriosa e trionfale, ha da sempre un risvolto cupo, brumoso, crepuscolare. Diciamo pure funebre: come le gondole nere che scivolano lente sull’acqua fino all’Isola dei Morti, San Michele. Morte a Venezia. Sempre in agguato, come i sicari che aspettano la loro vittima nel dedalo dei sottoporteghi, di notte; come la peste che falcidiato senza pietà i suoi figli ma senza la quale noi non avremmo quel miracolo che è la Madonna della Salute. Anche per Carnevale, sotto le bautte di un bianco cadaverico e i domino neri come corvi, la morte sembra ammiccare beffarda. Ma che Venezia muoia per acqua, che Venezia scompaia letteralmente annegata, questo perdinci, no.

Venezia è la signora del Mare, che l’ha sposato – come ogni anno proclamava il Doge dall’alto del Bucintoro, gettando l’anello nuziale d’’oro tra le acque – “in segno di perpetuo dominio”. Suo simbolo è il leone alato di san Marco, ma il suo vero animale – anzi, un adorabile, mirabile mostro – è la sirena: che vive tra i flutti e non può vivere altrimenti. E’ un grande amore, quello tra Venezia e il mare: e, come spesso accade, è un amore violento, un gioco brutale al possesso reciproco. La Serenissima è stata davvero grande finché capitale di un impero fatto d’acqua e di isole: la sua vera decadenza è cominciata da quando ha cominciato a praticar troppo l’entroterra, dalla Dalmazia al Friuli. Lì, sul mare, è stata invincibile perfino le poche volte che l’hanno sconfitta.

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