Il vecchio ordine in Europa è crollato e ne va creato uno nuovo

Sgovernati: la copertina in edicola domenica 17 novembre

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Penso occorra ormai rovesciare l’ottica con cui si osserva la situazione: il farsi e disfarsi frenetico di movimenti e forze politiche, l’incapacità di esprimere strategie durevoli, la fragilità estrema di ogni compromesso raggiunto – ebbene, perché non leggere tutto ciò come le doglie di un parto, piuttosto che segni premonitori di qualche apocalisse? Nascendo piangiamo, ma non è detto che si debba avere una vita infelice.

Bisogna saper cogliere nella confusione attuale e nella incapacità da parte delle élite tradizionali di indicarne vie di uscita i germi di un nuovo ordine. Questo è l’esercizio che il pensiero e la politica dovrebbe iniziare a praticare. Pratiche di mero restauro, movimenti “ben temperati” servono poco nella tempesta. Sarebbe bello che le grandi crisi potessero essere superate senza traumi. La natura fa salti, la storia li fa mortali. Le crisi attualmente dilaganti pressoché in tutti i Paesi europei mostrano con crudezza che il tempo dei ragionevoli continuismi è passato e può iniziare soltanto quello dei riformismi audaci. Possiamo individuarne la possibilità reale? Non è solo la confusione di un crollo ciò che oggi si manifesta; un filo rosso attraversa il farsi e disfarsi di movimenti, il crollo di culture politiche tradizionali, che è il prodotto essenzialmente di colossali processi di ricomposizione sociale, i segni ovunque della nostra crescente insecuritas .

Questo filo collega, anzitutto, la necessità di costruire una reale unità politica europea ad una riforma interna dei diversi Stati che abbia al suo centro il valore dell’autonomia e della sussidiarietà. Se un’Europa politica mai potrà nascere dalla semplice frantumazione degli Stati nazionali, altrettanto è vero che mai potrà esprimersi come il patto tra Stati tesi esclusivamente alla conservazione della loro antica forma burocratico-centralistica, nemici di ogni autentica autonomia al loro interno. Se è chiaro che un’Europa politica sarà federalistica o non sarà affatto, ancora più chiaro è che un’Europa federale composta da Stati governati in forme anti-federalistiche costituisce una semplice contraddizione in termini. Che Consiglio Europeo, Commissione, Parlamento non facciano di questa prospettiva un fattore fondamentale della loro azione e non si sforzino di interpretare appunto come doglie del parto di una nuova Europa ciò che accade in Catalogna, Scozia e altre nazioni europee dieci volte più europeiste di Spagna, Inghilterra, ecc., ha quasi dell’incredibile.

Ma il nostro filo rosso ha in sé anche un’altra e forse più importante componente. L’accelerazione straordinaria del nostro tempo produce, sul terreno della storia e delle culture d’Europa, un incessante insorgere di bisogni e domande, che si intrecciano col nascere di nuove professioni, nuove forme di lavoro dipendente e autonomo (o pseudo tale). Dar forma a questi tellurici sommovimenti è la vera missione della politica oggi. Dall’ambiente alle politiche industriali, dalla riforma della giustizia al fronte degli interventi necessari su fine-vita e eutanasia, per finire a quello che ci impegnerà per i prossimi decenni sull’immigrazione, ovunque insorge drammaticamente l’urgenza di innovare sul terreno fondamentale di diritti e doveri. Una sua ridefinizione è il compito di una politica futura, capace di svolgersi immanente ai soggetti che già di fatto la praticano, lontana da ogni retorica predicazione.

Una politica europea, degna di questi nomi, Politica e Europa, dovrebbe rendere soggetto politico le energie che oggi si muovono ancora confuse e indistinte. Balbetteranno pure, ma indicano l’unica via percorribile perché l’Europa non finisca col diventare una, per di più incerta, entità geografica: dar forma all’esigenza di nuovi diritti che nelle sue società si esprime, e anzitutto sul piano del lavoro, della distribuzione del reddito, della partecipazione alla decisione politica. Nessun diritto è più di un flatus vocis se non viene incardinato in norme. Anche i “diritti umani”, di cui tanto si ciancia, lo sono fino a quando non diventino norme positive. Qui sta il compito del legislatore, e soltanto così operando egli corrisponderà responsabilmente alla crisi sistemica che attraversiamo.

Apprendano dunque l’arte maieutica i politici e le élite europee. Ascoltino nella crisi le doglie del parto. Non c’è alternativa a operare in tutti i modi perché nasca un’Europa politicamente unita sulla base di un diritto da tutti riconosciuto e per tutti vincolante. Ascoltino il vagito dell’infante piuttosto che le decrepite paure del sopravvissuto.

L’ESPRESSO

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