Siamo un Paese all’asta: 245.000 esecuzioni ancora aperte. Ecco chi ci guadagna
La legge che doveva sveltire i tempi
Partiamo dai numeri per orientarci in questo girone dove i database sono infiniti. La fonte più attendibile diventa un soggetto privato legato al gruppo Gabetti, cioè la Astasy, che ha costruito e sviluppato negli ultimi cinque anni un archivio sofisticato. Grazie ai big data è possibile confrontare i numeri delle aste prima e dopo il 2015, quando è entrata in vigore una norma voluta dal governo Renzi. Siccome le aste andavano spesso deserte e ingolfavano i tribunali, la ratio è stata quella di accelerare le procedure di vendita applicando da subito uno sconto. Ha finito, suo malgrado, per penalizzare i debitori.
Come si dimezza il valore di un immobile
Prima della nuova legge se un immobile valeva 100 mila euro, veniva prudenzialmente battuto a 110mila, ora viene battuto intorno ai 75mila, ma la legge 132 dà diritto all’offerente di presentare un’offerta più bassa del 25% (mentre prima non era consentito) cioè a 55/60 mila. Se l’asta va deserta, come continua ad accadere, viene riproposta a 55/60 mila con possibilità di offerte minime a 40/45 mila euro. Le perizie vengono redatte con il supporto di algoritmi di software in odore di conflitto di interessi, perché non di proprietà dei vari tribunali o del ministero della Giustizia, ma di società che detengono anche la pubblicazione di portali di settore come portaleaste.com, astegiudiziarie.it, asteimmobili.it, astalegale.net, o forum on line come in executivis.it che fanno migliaia di ore di formazione a magistrati e cancellieri. Se si escludono Milano, Torino, Roma, Firenze e Venezia, dove i prezzi restano alti, comprare all’asta significa entrare in un limbo di incertezza che favorisce solo chi acquista immobili per professione.
Perdi casa e resti con un debito residuo
L’esito lo sintetizzano con identità di giudizio sia la Astasy che Favor Debitoris: «Ormai assistiamo a uno sconto medio del 55% rispetto al valore di acquisto sul libero mercato. Significa che su 100 mila euro il debitore porta a casa solo 45mila euro, a cui va tolto mediamente un altro 33% fra compensi agli intermediari e spese di giustizia. Alla fine resta una cifra quasi sempre inferiore alla quota capitale rimasta pendente». Mirko Frigerio di Astasy calcola che l’ex proprietario, oltre a perdere l’immobile, «resti ancora con un debito residuo mediamente intorno ai 30mila euro». A quel punto scatta il rischio del pignoramento del conto corrente e di altre proprietà aggredibili, soprattutto se ereditate (auto, moto) da genitori ex garanti nel frattempo defunti. Inoltre il debitore verrà segnalato alla centrale rischi ed etichettato come cattivo pagatore, quindi nessun istituto gli farà più un prestito. Però il debito resta vita natural durante, perché la prescrizione si completerebbe dopo 10 anni, come prescrive il codice di procedura civile, ma la banca difficilmente abbandona la partita, come rileva Giovanni Pastore, tra i fondatori dell’associazione Favor Debitoris: «Il debitore è come il maiale per i contadini, non si butta via niente, e quel debito residuo viene a sua volta venduto, con una valutazione di circa l’1% del valore nominale, alle società di recupero credito, specializzate nello spolpare le ossa». Ovvero le ossa di persone abbandonate al credito gestito dalla criminalità «che si fanno banca erogando credito a tasso concorrenziale con quello bancario», spiega l’ex procuratore nazionale antimafia Roberti. In altre parole: finiscono nelle mani dei «cravattari».
Ci perdono tutti tranne le società immobiliari
Rientrano in questa tipologia i figli che ereditano i debiti dei genitori, divorziati, chi ha perso il lavoro, i piccoli commercianti travolti dall’ecommerce, le partite Iva che hanno il torto di ammalarsi. Colpa di una macchina di recupero crediti inefficiente e spietata, costruita dallo Stato e per colpa dello Stato, dove ci perdono tutti, tranne l’infinita pletora di periti, avvocati, valutatori, delegati alla vendita per conto dei 140 tribunali d’Italia. Ma soprattutto ci guadagnano, e tanto, le società immobiliari che, approfittando di «gare al massimo ribasso» comprano per un tozzo di pane e poi rivendono a prezzo mercato.
All’asta si può riciclare il denaro
A complicare il quadro, che intasa ulteriormente i tribunali, le novità delle aste telematiche, alcune delle quali sono asincrone e permettono i rilanci a distanza di tempo, generando contenziosi infiniti, che si verificano anche quando l’asta telematica è sincrona mista, poiché consente contestualmente i rilanci sia live sia da remoto. Spesso la tecnologia si blocca e la connessione anche, innescando inevitabili sospensioni della procedura e interpretazioni giurisprudenziali infinite. Inoltre il sistema delle aste attualmente in vigore si configura come un meccanismo perfetto per pulire il denaro sporco, favorito da una «vacation» nella normativa che consente di non verificare la provenienza dei fondi neanche al saldo della vendita. Ad oggi infatti le esecuzioni immobiliari non hanno il controllo del denaro circolante e non avviene nessuna verifica antiriciclaggio.
La ‘ndrangheta compra con bonifici esteri e prestanome
Molte società aprono finte ragioni sociali all’estero, poi avviano una succursale italiana che provvede all’acquisto pagando con bonifici che provengono per esempio da Malta, Lussemburgo o altri paradisi fiscali. A quel punto neanche la Banca d’Italia riesce a intervenire. Soltanto attraverso una richiesta di rogatoria internazionale, alla quale non sempre i Paesi rispondono, sarebbe possibile verificare l’origine del denaro. La Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia ha recentemente sequestrato alla ‘ndrina calabrese Grande Aracri di Cutro 146 appartamenti nel parmense e nel nord-est. Tutti comprati all’asta utilizzando dei prestanome e con bonifici esterovestiti. A Tempio Pausania e Livorno sono finiti agli arresti giudici e periti perché avevano costruito un sistema di turbative d’asta a danno dei potenziali acquirenti. L’avvocato Biagio Riccio, presidente di Favor Debitoris, sostiene che sarebbe sufficiente che il Mef o l’Agenzia delle Entrate emanassero una circolare con la quale si chiede di inserire all’articolo 586 del codice di procedura civile, tra le parole «Avvenuto il versamento del prezzo» e «pronunciare decreto» le seguenti quattro righe: «Il Giudice dell’Esecuzione deve sospendere la vendita quando appare che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello di mercato, ovvero quando la provenienza del pagamento appaia illecita». Fra le migliaia gli emendamenti proposti nelle norme in approvazione a fine anno, si troverà la volontà politica?
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