L’eterna piaga dell’incuria: in Italia si interviene solo «dopo»
di Gian Antonio Stella
Possiamo continuare ad affidare il nostro destino a Giovanni Nepomuceno martire, il Santo protettore dalle frane e dalle alluvioni? Quel vuoto spettrale tra i due monconi mozzati e rimasti in piedi del viadotto dell’Autostrada A6 Torino-Savona, travolto da una frana, ci riporta di colpo indietro di quindici mesi. A quel Ferragosto 2018 in cui sotto la pioggia battente si schiantò al suolo a Genova, una cinquantina di chilometri più in là, il ponte Morandi. Certo, stavolta il bilancio non è apocalittico come allora. Ma quanto ha pesato la buona sorte, assai poco coadiuvata, storicamente, dalla manutenzione quotidiana delle nostre infrastrutture?
I rilievi dei vigili del fuoco, le analisi degli scienziati, le indagini della magistratura diranno se e in quale misura c’entrino anche stavolta l’incuria e la sciatteria, piaghe che negli anni sono diventate un incubo. Certo è che la nuova batosta conferma, più ancora delle immagini di tanti altri viadotti vetusti e vistosamente aggrediti dal tempo, dal salso o dalla ruggine, la necessità assoluta di un monitoraggio capillare dello stato di sicurezza della nostra rete viaria. Tanto più dopo la rivelazione di qualche giorno fa: un report del 2014 parlava già per il ponte di Genova di un «rischio di perdita di staticità». Un penoso giro di parole, a quanto pare, per non evocare direttamente il pericolo di un crollo. Monitoraggio ancor più necessario in una regione come la Liguria esposta più di altre al rischio idrogeologico.
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