“Riformare la giustizia anche in difesa delle donne”. Intervista a Giulia Bongiorno
In questo momento, spiega, è concentrata sul nuovo progetto educativo, sempre contro la violenza di genere, che sta per lanciare con “Doppia Difesa” e in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la prima da quando il Codice rosso, la sua legge, è entrata in vigore, parla con HuffPost dell’impatto della norma, delle cose fatte e di quelle da fare. Non risparmiando bordate ai Cinquestelle, gli ex alleati nel Conte I, per non avere portato a termine l’annunciata riforma sulla giustizia, “che – scandisce – servirebbe per far funzionare al meglio il Codice rosso e tutelare ancora di più le donne dalla violenza”.
Intanto, senatrice Bongiorno, sembra che il Codice rosso abbia dato una scossa al sistema.
“Quando, con Michelle, abbiamo pensato a questa legge non volevamo aggiungere una norma alle tante già presenti nel nostro Paese, volevamo una legge che facesse funzionare le altre, che sanasse la lacuna derivante dal fatto che spesso una donna che denuncia si ritrova sola. Penso al caso di Noemi Durini, la sedicenne pugliese uccisa dal fidanzato nonostante la mamma avesse già chiesto aiuto. Ma c’è un’obiezione che ancora sento e che mi dà fastidio”.
Quale?
“Mi amareggia sentir dire talvolta che è una legge che intasa i tribunali, quasi le donne fossero detriti. Mi fa piacere, invece, che i magistrati mi dicano che la legge funziona, al pari di quella contro lo stalking, che incardinai da presidente della Commissione Giustizia della Camera. Le mie più grandi soddisfazioni derivano da queste due leggi. E non ho voluto dare al Codice rosso il mio nome per un motivo preciso”.
Perché?
“Perché appartiene a tutti, a cominciare, ovviamente, dalle donne”.
“Nessuna donna sarà più sola”, assicurò dopo l’approvazione della legge. L’introduzione di pene più aspre garantiranno il mantenimento di questa promessa?
“L’inasprimento delle pene fa parte della pluralità di norme contenute nel Codice rosso. Quella centrale, per me il cuore, è la norma in base alla quale una donna che denuncia viene aiutata nel giro di 48 ore. Quel mio “non sarete più sole” mirava a rassicurare le donne sul fatto che le loro denunce sarebbero state finalmente prese in carico e l’autore di violenza punito. Purtroppo il nostro sistema penale è un po’ una fisarmonica”.
In che senso?
“Nel codice penale vengono stabilite pene che poi, sulla base del codice di procedura penale e di altre leggi speciali, vengono diminuite. Resiste, in Italia, una confusione tra garantismo e certezza della pena. Essere garantisti vuol dire che fino al terzo grado di giudizio c’è la presunzione di innocenza, ma dopo il terzo grado è allucinante prevedere sconti di pena. Se inasprimento vuol dire effettività della pena che ben venga”.
La sua legge prevede formazione specifica delle forze dell’ordine, ma dal fronte critico c’è chi fa notare che non sono state stanziate risorse.
“Nell’unica legge di bilancio in cui io abbia potuto dire la mia, quella del Governo passato, sono state previste risorse significative per le assunzioni sia nel settore giustizia che, in generale, in quello della pubblica amministrazione. Da ministro del settore ho previsto il turn over al 100%, dopo decenni che non si faceva. Non mi pare che l’attuale manovra vada in questa direzione, che preveda le stesse risorse stanziate nella precedente”.
I più critici evidenziano anche la carenza di personale giudiziario, di risorse per le associazioni e per i centri antiviolenza.
“Abbiamo stanziato fondi specifici per le assunzioni nel settore Giustizia e più in generale, di tutto quello della Pubblica amministrazione, l’ho già detto. È evidente che il Codice rosso debba essere letto insieme a quella legge di bilancio. E poi andava portata avanti la riforma della Giustizia, mi sarei aspettata che il ministro procedesse in questa direzione”.
Si riferisce a Bonafede?
“Certo, andava portata avanti la riforma per ridurre i tempi della giustizia e invece mi pare che il ministro stia sonnecchiando”.
Dai centri antiviolenza continuano a segnalare che nel sistema di tutela manca il pezzo relativo al “dopo” denuncia, che le donne, nel percorso di recupero dell’autonomia, si ritrovano tante volte da sole.
“In me i centri antiviolenza troveranno sempre una sponda. Le associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere sono state supplenti in momenti in cui lo Stato era poco presente ed è reale l’esigenza che la loro azione sia supportata da risorse adeguate. Ma se, anche con il Codice Rosso, alle donne diciamo “Denunciate, denunciate”, e poi il processo che ne scaturisce continua a durare sei, sette anni, per quelle stesse donne, che si ritroveranno con l’autore di violenza come controparte processuale, l’uscita dalla violenza rischia di trasformarsi in un nuovo calvario. Va velocizzato il processo penale, ma la riforma Bonafede non è in grado di rispondere a questa esigenza”.
Cosa intende?
“Quando ho visto la riforma, mi sono chiesta dove fosse effettivamente. È astratta, un libro fatto di pagine bianche, non indica soluzioni. Non è un caso che il Pd non abbia dato il via libera. Per me è chiaro il retropensiero che fa da sfondo a questa riforma”.
Cioè?
“L’obiettivo è mettere in campo una serie di norme sul patteggiamento e altri riti speciali, formule processuali per svuotare la pena, eliminare i dibattimenti. Noi della Lega ci batteremo perché ciò non avvenga. Siamo convinti che il dibattimento sia essenziale per accertare la responsabilità e lotteremo fino in fondo per la certezza della pena”.
A marzo, alla ripresa dell’esame del suo ddl alla Camera, in un tweet, poi cancellato, lei scrisse: “Così si può appurare se si ha a che fare con una isterica o con una donna in pericolo di vita e in tal caso salvarla”. Oggi lo scriverebbe ancora? Anche così, si avvalorano stereotipi che ancora resistono sulle donne, o no?
“Se è stato cancellato è assai probabile non lo avessi scritto io. Sono espressioni che non utilizzo, quel tipo di linguaggio non mi appartiene. Di certo, con il Codice rosso, il pubblico ministero ha a disposizione una sorta di filtro dell’urgenza: può verificare, in tempi rapidi, se la violenza denunciata è particolarmente grave da richiedere un intervento immediato”.
Con l’allora sottosegretario alle Pari Opportunità, il Cinquestelle Spadafora, avevate previsto un fondo “anti ostaggio” per le donne che vogliono allontanarsi temporaneamente dall’abitazione e non andare nelle case rifugio. Che ne è stato, ora che Spadafora è ministro del Governo col Pd?
“Spero che quel fondo non sia stato toccato, mi auguro che Spadafora, persona seria, non si sia fatto sfuggire quel denaro. Indicazioni certe non posso darne, essendo la Lega fuori dall’esecutivo”.
A proposito della Lega, lei si è battuta contro l’omofobia e per le unioni civili omosessuali. Come si trova in un partito in cui c’è l’ex ministro Fontana che ha sostenuto che le famiglie Arcobaleno non esistono?
“Fontana viene descritto come un mostro e anch’io, prima di conoscerlo, pensavo avesse posizioni molto distanti dalle mie. Fermo restando che nello stesso partito possono esserci punti di vista diversi. È stato travolto da critiche ingiuste, gli sono stati attribuiti virgolettati su dichiarazioni mai rese, io preferisco commentare il vero Fontana. Ma posso dirle una cosa?”.
Prego.
“Nella Lega mi trovo meglio di quanto avessi mai potuto immaginare”.
Salvini, però, ha preso le distanze dalle adozioni omogenitoriali. Nel suo partito c’è chi ha sferrato attacchi pesantissimi contro la legge 194. E c’è il senatore Pillon, col suo ddl, testo al quale lei stessa non ha risparmiato critiche e obiezioni.
“Quando, prima ancora che mi candidassi con la Lega, gli ho detto che avrei voluto presentare la legge del Codice Rosso, Salvini ha immediatamente telefonato i leader degli altri principali partiti per parlare loro dell’iniziativa. Così, ancor prima che iniziasse la legislatura, io sapevo già che Martina, Berlusconi e Di Maio su questo erano d’accordo. Salvini è un uomo che fa fatti concreti. Per me contano quelli”.
E la sua contrarietà al ddl Pillon?
“È vero che quella proposta conteneva una serie di disposizioni che non condividevo. Ne abbiamo parlato nelle sedi naturali, ossia nei gruppi del partito. Significherà qualcosa se non è diventata legge, no?”.
Ecco, che significa? Non l’ha archiviato il nuovo Governo?
“Il ddl Pillon non è andato avanti perché noi abbiamo deciso che non era una priorità. Non lasciamo ad altri meriti che non hanno”.
La ministra Bonetti ha promesso 30 milioni di euro alle Regioni per i centri antiviolenza, annunciato un progetto di microcredito per aiutare le donne vittime a recuperare la loro autonomia, il ministro Gualtieri 12 milioni di euro per supportare gli orfani di femminicidio. Misure efficaci secondo lei?
“Le iniziative che sostengono donne e bambini vittime di violenza sono sempre positive. Non sentirà mai da parte mia critiche sulla base dell’appartenenza partitica. Non mi interessano i colori politici, la battaglia contro la violenza di genere è una grande battaglia culturale, di valori”.
Da ministra lei ha firmato una direttiva che impone all’amministrazione pubblica di utilizzare in tutti i documenti di lavoro termini non discriminatori. Poco dopo il via libera al Codice rosso assicurava: “Il mio impegno a favore delle donne non finisce certo qui”. Cosa ha in mente?
“A quella direttiva tengo molto perché è un altro segno concreto della mia battaglia. Con “Doppia Difesa”, io e Michelle presenteremo a breve un nuovo programma, che parte dall’educazione nelle scuole. Vedremo se quando la Lega tornerà al Governo su questa iniziativa potremo incentrare un’altra norma. Abbiamo già dimostrato di essere capaci di trasformare in leggi idee e proposte nate fuori dal Parlamento. Con il Codice rosso ci siamo riusciti”.
L’HUFFPOST
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