Venezia non si stacca da Mestre Zaia: «Pietra tombale su distacco»
Salta, dunque, nuovamente il progetto dei due comuni, dei due territori e di quel confine fra terra e laguna che avrebbe diviso i 260 mila abitanti attuali in due mondi da 180 mila, mestrini, e 80 mila, veneziani. Il che fa naturalmente piacere agli unionisti e a chi gettava acqua sul fuoco del referendum invitando all’astensione, primo fra tutti il sindaco Luigi Brugnaro. Un sospiro di sollievo lo tira Gianfranco Bettin, scrittore e presidente della Municipalità di Marghera (una delle sei in cui è divisa la città), apertamente schierato con il no: «La divisione avrebbe indebolito tutti. Venezia ha sempre avuto una vocazione anfibia verso la terraferma».
Per Bettin i mali della città, cavalcati dai separatisti, l’acqua alta, il Mose, le Grandi Navi, i flussi turistici incontrollati, non hanno origine nel comune unico: «Nascono dalla debolezza del governo locale rispetto a istituzioni sovradeterminate che decidono al suo posto». Non la pensa così l’ex magistrato ed ex senatore Ds e Pd Felice Casson, oggi consigliere comunale a Venezia e consulente dell’Onu. Casson è un alfiere del sì: «Penso che Venezia abbia perso un’occasione. Con due Comuni autonomi ci sarebbe stata più prossimità, più adeguatezza da parte di chi governa a due realtà che sono completamente diverse da ogni punto di vista. Le norme che vanno bene a Venezia non vanno bene a Mestre e viceversa. Si perde anche la possibilità di ottenere da Roma lo Statuto Speciale». Fra i delusi del sì i Cinquestelle, Fratelli d’Italia, i venetisti e l’anima «patrizia» della città, con Sgarbi, Zecche, Scurati. I comitati promotori non mollano e hanno fatto ricorso contro la soglia del quorum, considerata illegittima. Fra i soddisfatti del no il Pd e Rifondazione, sostenuti da Scarpa e Segre. Infine c’è lui, Massimo Cacciari, l’ex sindaco, rimasto a casa: «Non partecipo a simili pagliacciate».
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