Vaticano, come sono investiti i 700 milioni di euro di offerte e donazioni
A gestire cassa e Obolo, dentro la Segreteria di Stato guidata dal 2013 da Pietro Parolin, è la sezione Affari Generali, affidata dal 2011 al 2018 a Monsignor Giovanni Angelo Becciu (oggi cardinale). Da ottobre dello scorso anno poteri e portafoglio sono passati nelle mani del nuovo responsabile, il venezuelano Edgar Peña Parra. La Segreteria è il dicastero più importante della Santa Sede e più vicino al Papa. Ed è centrale nelle decisioni di investimento, come quella di puntare al palazzo di Londra.
2012: Angola e petrolio
Tutto comincia nel 2012 dall’Angola, cioè il paese africano in cui Becciu per molti anni è stato nunzio apostolico. Un imprenditore locale suo amico, Antonio Mosquito, gli propone di investire 200 milioni di dollari nella sua compagnia petrolifera Falcon Oil. Una scelta estremamente rischiosa, in uno dei Paesi più corrotti al mondo, e sconcertante per le modalità del progetto, rimaste finora riservate: si trattava di diventare di fatto soci di minoranza (5%) nello sviluppo di una piattaforma petrolifera offshore in consorzio con l’Eni e la compagnia nazionale Sonangol. Il Vaticano avrebbe dovuto coprire il debito di Mosquito verso il consorzio. Dalle carte consultate dal Corriere della Sera, di quei 200 milioni 35 sarebbero andati direttamente a Mosquito per rimborsare un suo precedente prestito a Falcon Oil. Inoltre l’investimento era a lungo termine: per guadagnarci qualcosa sarebbero serviti almeno 8 anni. Sempre che il prezzo del petrolio non fosse nel frattempo precipitato, come poi avvenuto. «In un primo momento sembrava attraente, ma dopo uno studio approfondito la proposta non fu accolta». Parole di Becciu.
Troppo speculativo
A spiegare alla Segreteria che l’operazione non gira è il finanziere italiano, con base a Londra, Raffaele Mincione, allora semisconosciuto, che entra nella partita grazie al Credit Suisse, nei cui conti svizzeri confluisce l’Obolo. Il custode della cassa vaticana è un dirigente dell’istituto, Enrico Crasso, banchiere di riferimento della Santa Sede. «Gli ho detto – racconta Mincione – volete raddoppiare i soldi? Vi propongo un mio palazzo al centro di Londra». L’immobile è ubicato al numero 60 di Sloane Avenue, già sede di Harrods. E gli uomini di chiesa affidano i 200 milioni al Fondo Athena, gestito da Mincione. Il fondo ha un solo cliente-sottoscrittore: il Vaticano.
L’immobile e le azioni
A giugno 2014 il Fondo Athena usa la maggior parte di quei soldi del Vaticano per comprare il 45% della società che possiede il palazzo, che è anche gravato da un mutuo di circa 120 milioni con Deutsche Bank. Mincione investe il resto dei soldi in speculazioni di Borsa su Carige, Retelit e Tas. Il piano del finanziere – che è rimasto proprietario del 55% – è di trasformare il palazzo da uffici a residenze, aumentarne la cubatura, creare 44 appartamenti e rivendere tutto per incassare 600-700 milioni di sterline. Gli affitti nel frattempo sono stati tutti scontati in cambio di uno sfratto rapido in vista dell’avvio dei lavori. Solo che i permessi arrivano solo a dicembre 2016, sei mesi dopo la Brexit. E la sterlina è crollata. Insomma, il Vaticano comincia a perdere tanti soldi.
Spunta il broker molisano
Settembre 2018: il Fondo Athena in 5 anni ha perso oltre 20%. Nel frattempo a Roma monsignor Becciu è stato promosso cardinale. Al suo posto alla Sezione Affari Generali arriva Peña Parra e la strategia cambia. L’ordine è: «Smontare l’investimento dal fondo per prendere tutto il palazzo». Dopo lunghe trattative, e 44 milioni di conguaglio a Mincione, l’accordo si trova. Ma a chi si affidano in Vaticano per una manovra finanziaria di questo calibro? Non a una banca d’affari o a intermediari di primo piano. La scelta cade su Gianluigi Torzi, sconosciuto broker molisano trapiantato a Londra, che ha condiviso già altri affari con Mincione, svelto e capace nel suo lavoro di trader ma con qualche piccola pendenza penale e la scia di un paio di fallimenti societari in Italia.
Da Londra a Lussemburgo e ritorno
Il 23 novembre 2018 si firma l’accordo quadro. Il palazzo passa da Mincione alla Gutt, una società lussemburghese costituita e amministrata da Torzi. Un minuto dopo la firma del contratto in Segreteria però si rendono conto di aver affidato tutti i poteri gestionali al broker che detiene solo lo 0,1% di Gutt. Inizia dunque la trattativa per smontare l’accordo e convincere Torzi a farsi da parte. A maggio 2019 il 100% del palazzo di Londra finisce in una nuova società, la London 60, questa volta controllata al 100% dalla Segreteria di Stato vaticana.
Quanto ha perso il Vaticano
Alla fine di tutta la vicenda il Vaticano ha dovuto sborsare a Torzi 10 milioni, 16 milioni a Mincione per la gestione degli investimenti e altri 44 per liquidare il fondo e infine almeno 2 per consulenze. Nelle casse del Papa invece, dopo sette anni, non è entrato un euro di guadagno. Il Pontefice ha parlato di «Corruzione, e si vede!» nella gestione del patrimonio della Segreteria. E su questo sta indagando la magistratura vaticana. Cinque persone sono finite sotto inchiesta: un ex potente della Segreteria come monsignor Mauro Carlino, il direttore dell’Aif (l’antiriciclaggio) Tommaso di Ruzza e tre dipendenti della Segreteria: Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e Caterina Sansone. Intanto a Londra è in corso un progetto di ristrutturazione del palazzo, affidato all’ingegnere Luciano Capaldo, per creare nuovi uffici. Insomma si vogliono far fruttare tutti quei milioni fermi da troppi anni. Come? L’ha spiegato lo stesso Papa Francesco, giorni fa: «Affittare e poi vendere». Perché i soldi dell’Obolo, ha sottolineato, vanno investiti ma poi anche spesi. Senza imbrogliare.
500 milioni affidati ad Azimut
Il palazzo di Sloane Avenue è il singolo maggiore investimento effettuato con le disponibilità della Segreteria: tecnicamente si è trattato di un prestito di 200 milioni del Credit Suisse con a garanzia asset della stessa Segreteria. Un contratto più tipico da private banking che da fondo sovrano. Ma dove sono gli altri fondi (centinaia di milioni)? Depositati sempre presso il Credit Suisse. A occuparsene è il consulente di riferimento Enrico Crasso che nel 2014, lasciata la banca svizzera, si mette in proprio e si fa carico di investire i 500 milioni della Segreteria, naturalmente con adeguate provvigioni. Lo fa per un paio d’anni attraverso la sua Sogenel Holding di Lugano ma nel 2016 vende il «cliente» Vaticano – circostanza mai emersa prima – ad Az Swiss del gruppo Azimut, colosso della gestione di fondi quotato in Borsa. Crasso però diventa contestualmente dirigente di Az Swiss ed entra in consiglio di amministrazione continuando a gestire, sotto l’ombrello Azimut, il mezzo miliardo del Papa. Quest’anno ha lasciato entrambe le cariche e sulle provvigioni sarebbe in corso una revisione da parte della stessa Segreteria.
Soldi a Malta
Tuttavia nel 2016, dopo aver venduto ad Azimut, Crasso ha creato un fondo tutto suo a Malta per gestire in proprio circa 50 milioni della Segreteria. È il fondo Centurion e ha investito quei soldi del Vaticano in varie direzioni: 6 milioni nella società di occhiali di Lapo Elkann, Italia Independent; circa 10 milioni nella galassia Giochi Preziosi dell’imprenditore patron del Genoa Calcio, Enrico Preziosi; altri 4,7 milioni per entrare nelle acque minerali (Acqua Pejo e Goccia di Carnia); 1,2 milioni per una quota di minoranza del sito Abbassalebollette; oltre 16 milioni per rilevare un immobile in una sede italiana della multinazionale ABB; 4,3 milioni in bond per finanziare i film «Rocketman», biografia di Elton John, e l’ultimo «Men In Blac» infine 4,5 milioni prestati a una piccola società di costruttori romani, la Bdm Costruzioni e Appalti. Affari oculati? Non proprio. Nel 2018 il fondo Centurion ha perso il 4,61%. Ai manager però sono andati quasi 2 milioni di commissioni.
CORRIERE.IT
Pages: 1 2