Salvini e Renzi, la diffidenza tra i leader che blocca le larghe intese
Tuttavia le voci che alimentano questa liaison dangereuse sono utili a entrambi: è una «tarantella» che serve a Renzi per tenere sotto pressione il governo, garantendosi un po’ di visibilità; e serve a Salvini per non restare ai margini dei giochi di Palazzo.
L’obiettivo è la legge elettorale. Ed è proprio sulla riforma del sistema di voto che l’ex premier marca da vicino l’ex vice premier, per evitare che accetti il sistema spagnolo: per Iv sarebbe la fine. Il segretario del Carroccio non sembra però orientato ad assecondare il piano di Zingaretti, piuttosto preferirebbe il proporzionale con soglia di sbarramento, che è l’offerta di Franceschini… Ecco cosa si cela dietro il presunto piano dei «due Matteo», che in fondo non hanno molti margini di manovra. Se davvero Renzi mettesse a rischio il governo, difficilmente si ritroverebbe al fianco tutto il suo gruppo. Se davvero Salvini procedesse verso le larghe intese, sicuramente dovrebbe fare i conti con la Meloni, che è ormai più di una spina nel fianco. Non a caso il leader della Lega ieri ha provveduto a smentire ipotesi di governissimi, rinculando rispetto alla proposta di un «tavolo» con la maggioranza. L’idea originaria di Giorgetti era piuttosto quella di fornire uno strumento di iniziativa al partito, in una fase in cui — per usare le sue parole — «si vive alla giornata».
La sensazione nel Carroccio è che di giornate così ce ne saranno tante: nessuno sente odore di elezioni anticipate. «Si voterà a maggio», dice l’ex vice ministro Galli: «Ma del 2023… Purtroppo dobbiamo fare i conti con la stragrande maggioranza dei parlamentari, che non accetta la fine anticipata della legislatura». Per quanto il governo sembri vivere sempre in bilico, con il rischio di nuove emorragie tra i grillini, nel centrodestra la spallata non è messa in preventivo. «Per uno che viene di qua, due sono pronti ad andare di là», riconosce un autorevole esponente di FdI, senza nascondere una punta di compiacimento: «Più il tempo passa, più Giorgia cresce…». E Salvini — che immaginava una corsa da scattista — dovrà reinventarsi in una gara da mezzofondista. Guardandosi alle spalle.
Il Conte 2 è una sorta di torre di Pisa: per quanto penda appare stabile. Ma c’è un motivo se Franceschini — governista per eccellenza — nello scorso fine settimana si era messo a terrorizzare alleati e compagni di partito: «Dopo l’entrata in vigore della riforma sul taglio dei parlamentari, si potrebbe alzare un’onda popolare con la richiesta di tornare a votare. Perciò facciamo subito la legge elettorale, almeno mettiamo in sicurezza il sistema contro la logica dei “pieni poteri”». Era scoppiato il panico, ed era proprio quello che il ministro della Cultura voleva, dopo la figuraccia del governo sul decreto salva-banche: «Davanti a certi atti di incoscienza — avrebbe confidato in seguito a un collega — devi spaventarli per farglielo capire». Anche perché le emergenze non sono finite. E dal sindacato arrivano segnali di insofferenza, già manifestati a palazzo Chigi. In occasione di uno degli ultimi incontri, per esempio, non era andato giù nemmeno l’atteggiamento di Conte, che aveva iniziato la riunione piazzandosi davanti a una telecamerina per leggere un testo scritto. Tranne poi alzarsi e salutare: «Vi lascio ai ministri competenti». Bisbiglio tra gli ospiti: «Era un servizio per l’Istituto Luce?».
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