Durate! Il discorso di Mattarella è l’altra faccia della fragilità del governo
‘O presepe, più di tanto, non gli piace. Si intuisce dalla freddezza con cui porge al Conte-bis il saluto natalizio, a mo’ di telegramma: “Esprimo gli auguri al governo di recente costruzione per la sua attività”. Punto. Però si capisce che per Sergio Mattarella l’auspicio è che duri, perché l’alternativa è peggio, anche se non viene neanche evocata. L’arbitro, si sa, è dei più rigorosi, non avvezzo a brandire spettri o a provocare allarmi.
È un po’ questo il senso del tradizionale discorso alle Alte Cariche dello Stato: un invito ad andare avanti, a durare. Il che, fughiamo subito il dubbio, non significa “tirare a campare”, arrocco al potere fino a se stesso per paura di perderlo. Semmai l’opposto. La ricerca del “come” andare avanti, di una necessaria ricerca di senso, non di mero consenso, in una politica affogata nel presente, è affidata alle parole di Aldo Moro: “Anche se talvolta profondamente divisi, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere di andare più lontano e più in alto”. È un discorso del ’77, in piena fase di compromesso storico, di percorso comune cioè tra diversi nell’Italia della guerra fredda, più diversi allora di quanto lo siano i partiti dell’attuale coalizione di governo. Per stare insieme, dice Mattarella, non è necessario pensarla allo stesso modo, ma è necessario il “dialogo” e la “comune accettazione delle essenziali ragioni di libertà e rispetto”.
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