È tempo che la politica impari a rischiare
di Beppe Severgnini
«È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». Questa ironica citazione — attribuita a una dozzina di personaggi (tra cui lo scrittore Mark Twain, il fisico Niels Bohr, il produttore cinemotografico Samuel Goldwyn, il giocatore di baseball Yoghi Berra) — contiene una profonda verità: chi prevede, rischia di sbagliare. Chi non prevede, tuttavia, vedrà le cose in ritardo. Ed è peggio. Il mondo è troppo complicato, e la vita è troppo seria, per affidarla agli oroscopi. Meglio ragionare su quanto è accaduto, per provare a immaginare quanto potrebbe succedere alla società occidentale. Tre vicende degli anni Dieci ci aiuteranno a capire le tendenze, le opportunità e i pericoli degli anni Venti.
La prima certezza è questa. La crisi finanziaria del 2008/2009 è stata assorbita lentamente e in modo asimmetrico. Il web ha premiato alcuni — da Amazon a Google, da Airbnb a Netflix — e, per adesso, ha punito molti. L’Italia, negli ultimi dieci anni, è il Paese che è cresciuto meno. Federico Fubini ci ha ricordato che, da quando abbiamo toccato il fondo (secondo trimestre 2013), il prodotto lordo è aumentato del 4%: un’inezia, meno della metà rispetto a Grecia, Portogallo e Finlandia, penultimi in classifica. Davanti alle difficoltà di sviluppo, e a un’imposizione fiscale implacabile, le aziende hanno provato a risparmiare dove potevano: sui salari. In Italia, oggi, sono inferiori alla media europea. Tra il 2009 e il 2019 sono scesi del 2%, mentre sono cresciuti del 7% in Francia e dell’11% in Germania. Un contratto a tempo indeterminato non garantisce più una casa, una famiglia e una vita decorosa.
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