Ma alla sinistra manca un’anima o una politica?

Sei mesi dopo, il senso di quella dichiarazione è ancora più chiaro, perché, effettivamente, nulla è stato rinnegato né con le parole né con le politiche. Vale per il “decreto sicurezza 1”, una polizza a vita del salvinismo, perché produce clandestinità (con l’abolizione degli Sprar e della protezione umanitaria), consentendo di alimentare quella paura su cui la destra ha costruito la sua impresa, realizzando facili fatturati. Vale per il “decreto sicurezza 2”, quella schifezza fascistoide, che dilata a dismisura i poteri del ministro dell’Interno, nell’assurda pretesa di chiudere i mari. Vale per l’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, che, senza interventi sulla ragionevole durata del processo, lo trasforma in una pena preventiva ai danni dell’imputato. Quella norma è diventata legge, mentre i correttivi sono appesi alla famosa e fumosa “verifica” di gennaio, per la gioia di chi, dopo aver fallito col precedente governo (e nel paese), può permettersi il lusso, proprio di un vincitore, di non mettere in discussione gli assi di fondo della propria politica, mentre chi stava dalla parte giusta porge l’altra guancia. La chiamano responsabilità nazionale: tenere leggi fascistoidi per arginare il fascismo. 

E allora siamo al dunque. Questo agile e denso volume di Gianni Cuperlo consente quantomeno di mettere a fuoco il problema e, si sarebbe detto una volta, di aprire il dibattito. Apriamolo, certi che l’autore apprezzerà. Il problema, squadernato nel titolo, è l’Anima: della sinistra e del governo, e della sinistra in questa spericolata operazione subita – ancora non si capisce il perché – senza uno straccio di “discontinuità”, ma su cui adesso scommette testardamente, con l’idea (o l’illusione) di fare di questo sentiero la via, sebbene accidentata, per un riassetto e una trasformazione del sistema politico. Anche se le strategie mutano con disarmante leggerezza: prima autorevoli esponenti della sinistra hanno spiegato che si sarebbero “contaminati i popoli”; poi, dopo che questo non è accaduto, che si sarebbe potuti andare al voto con Conte, come novello Prodi; adesso che, se tutto precipita, Conte, farà una lista che si allea con la sinistra, come un novello Dini.

Sia come sia, torniamo al libro. Cuperlo, uno dei pochi in circolazione a concepire la politica come sforzo intellettuale, ricerca, studio, ha il merito, in mezzo a tante chiacchiere per giustificare e giustificarsi, di porre la questione, sia pur col garbo che gli è proprio: la sinistra, la sua identità, la sua capacità di fare storia, fondata su una visione critica dell’esistente, di fronte a una destra rocciosa e incombente che, in Italia e nel mondo, intercetta lo spirito dei tempi ed è capace di una egemonia. Perché, come gli disse un vecchio compagno ai tempi della svolta, “un partito senza identità non può esistere e mai esisterà”.

Vale in generale ma, quella che sembra una banale pillola di saggezza, diventa un urgente cimento per un partito che “in 12 anni ha cambiato sette segretari e subito due scissioni”, proprio ad opera dei due leader che lo hanno guidato per i periodi più lunghi, sia pur con motivazioni diverse: un dissenso per cui non c’era più agibilità democratica dentro in un caso, un revanchismo narcisistico l’altro. E che, potremmo aggiungere, negli ultimi otto anni ha consumato, più opzioni strategiche di quante ne abbia espresse la Dc in cinquanta: l’alternanza a Berlusconi, il governo Monti con Berlusconi, le larghe intese politiche con Forza Italia dopo aver tentato un approccio con Grillo, poi la catastrofe del renzismo su una piattaforma liberista e plebiscitaria, poi il voto contro il governo gialloverde, ora il governo con i Cinque stelle nell’era del loro declino. Il tutto senza mai una seria, rigorosa, critica e autocritica, riflessione su di sé affidando la selezione della sua leadership a successivi plebisciti sul Capo. E, mentre cambiava posizioni in questo spericolato kamasutra politico, ha perso e si è persa, e ha perso perché si è persa.

Ecco il punto. Che nel libro è analizzato nei capitoli sulla rivolta dei cedi medi piegati dalla globalizzazione che si sono affidate al messaggio di protezione della destra, e alle famose periferie geografiche e sociali dove è scoppiata la rivolta contro l’establishment e sinistra percepita come tale. Si può parlare di una sconfitta storica della sinistra, di una perdita di peso e di ragione sociale: sradicamento dai territori e dal lavoro subordinato, espulsione dal cuore delle giovani generazioni, incapacità di “inventare” una narrazione e un popolo. E ha cessato di costruirlo nella diffidenza e nella critica nei confronti del capitalismo, inebriata da una sbornia liberista fondata su una idea ottimistica della globalizzazione. Eppure, le turbolenze di questi anni erano parte di un grande fenomeno visibile da tempo in tutto il mondo occidentale. La crisi della sinistra sta ancora dentro la crisi del “patto sociale” socialdemocratico che ha sostenuto l’equilibrio del lungo dopoguerra, la costruzione europea, la democrazia rappresentativa per come l’abbiamo conosciuta finora. L’elezione di Trump, la vittoria della Brexit, la vittoria in Italia dei “populismi”, la crisi delle idee europee, il nuovo culto degli uomini forti e delle economie chiuse. È questo il mondo in cui viviamo, in cui la sinistra, finora, non è riuscita a trasformare una consapevolezza in nuova politica, linguaggio e pensiero, nell’ambito di una progressiva perdita di egemonia culturale, prima ancora che politica. Forse perché la sua classe dirigente è rimasta chiusa nei vagoni di prima classe, anche se sempre meno popolati.

Ci vuole un congresso, dice Cuperlo. Ci vogliono intellettuali, riflessioni, confronto serio, non un nuovo plebiscito. Perché il compito oggi vitale del Pd è cambiare prima di tutto se stesso, il suo modo d’essere per mettersi al servizio di una profonda riforma di sistema. Farlo sulla base di valori incisi nel Dna della sinistra evitando di pensare che la pulsione governista esaurisca il bisogno di immaginare un’altra fase della storia. Ma, se è consentita una affettuosa critica, proprio sul tema della contesa, il libro è un po’ indulgente, proprio nel raffronto con i post di agosto. Perché è impensabile discutere il “cosa si è” separandolo dal “cosa si fa”, come se fosse un “a prescindere”: parlare di nuove politiche di immigrazione al congresso senza toccare i decreti sicurezza, di nuovo welfare senza toccare il reddito di cittadinanza, di nuove alleanze politiche con i Cinque Stelle mentre la paralisi di governo aumenta il desiderio di uomo forte. Di un “dover essere” mentre “quello che si è” non ha arginato, anzi, la svolta a destra, venendo meno alla ragione per cui questo esperimento si è tentato.

Diciamoci le cose come stanno: nella situazione concreta il vero congresso consiste nel dare un’Anima a questo governo, perché il paese chiede politiche, non dibattiti. O, se come pare è impossibile, nel trarne le conclusioni. Prima che si presenti una destra ancora più minacciosa a cui gli italiani daranno pieni poteri pur di uscire dalla palude.

L’HUFFPOST

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