L’attacco Usa, il sistema creato nell’ombra e il peso sul futuro
di Guido Olimpio
La reazione di Teheran all’uccisione di Soleimani è classica: ci vendicheremo «nel momento e nel luogo più opportuni». Formula che non vincola. Possono agire subito o tra un mese. L’Iran preferisce da sempre il confronto asimmetrico perché riduce il vantaggio del nemico storico, gli Usa. Ha alleati e determinazione. Dunque prese d’ostaggi, attacchi di gruppi sciiti, cellule in sonno. Senza, però, sottovalutare missili, operazioni speciali, sabotaggi. Gli osservatori hanno indicato i possibili rischi. Dal blocco delle rotte del petrolio a incursioni cyber, da incursioni contro le basi statunitensi ad un target in carne ed ossa. Il passo successivo è la guerra e non uno scambio ravvicinato di colpi per chiudere il duello. Gli iraniani dovranno trovare la loro vendetta senza ritrovarsi in una situazione ancora più difficile. Non hanno da guadagnare da una crisi totale che coinvolga ancora di più l’Iraq, il Libano, la Siria, Israele e il Golfo Persico.
Tanto più che c’è fermento anche all’interno dell’Iran. Ma siamo in una regione dove contano i simboli, la percezione, la deterrenza. Curi le ferite e valuti la prossima mossa. La stessa fine dell’alto ufficiale segnala l’imprevedibilità del confronto e alimenta molti scenari. Soleimani riassumeva molte funzioni, non sarà agevole rimpiazzarlo con il suo numero due, ufficiale peraltro esperto.
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