Libia, le truppe di Haftar rivendicano: «Abbiamo preso Sirte»
Jihad, aveva promesso. E jihad sia. L’Epifania del generale Khalifa Haftar, che tanti avevano sfottuto per l’interminabile assedio di Bengasi, che pochi avevano preso sul serio quando in aprile era iniziato quello di Tripoli, si manifesta in un nuovo teatro della nuova guerra libica: Sirte. Bastano tre ore, e la Brigata Madkhalita 210 finanziata dai sauditi con la 604 dell’Esercito di liberazione nazionale (Lna) partita dalla Cirenaica, assieme a una nuvola di milizie jihadiste delle unità d’élite Al Saiqa, di mercenari arabi sudanesi Janjaweed e di soldati dell’opposizione ciadiana — tutti salafiti ben conosciuti per una certa quantità di crimini di guerra compiuti nel Darfur, a Kufra e a Sabha —, bastano tre ore ed eccoli entrare nella città natale di Gheddafi, 450 km da Tripoli, nella prima grande roccaforte che l’Isis riuscì a impiantare sul Mediterraneo, nel terminal delle grandi carovane e soprattutto nel centro di controllo della Mezzaluna petrolifera. «Sirte è liberata», annuncia un portavoce del generalissimo, Ahmed al Mismari: «Abbiamo preso la città lungo tre direttrici via terra e via mare, con un attacco ben pianificato e preventivo». Prima arrivando al porto e poi alla base aerea di Qardabiya, una delle più grandi della Libia, per chiudere l’avanzata al campo meridionale militare di Saadi e al quartier generale della brigata Tefrafet, fedele al governo di Tripoli. «Sirte era il covo dell’Isis, di Al Qaeda e dei criminali che attaccavano i pozzi del petrolio».
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