Le tensioni e il sollievo
di Massimo Gaggi
La preghiera di Nancy Pelosi, la leader della Camera Usa che dopo l’attacco missilistico iraniano contro una base Usa in Iraq aveva temuto il peggio, è stata esaudita: Donald Trump e Ali Khamenei continuano a usare linguaggi estremamente minacciosi, ma i comportamenti, per ora, sono quelli di due Paesi consapevoli di non avere nulla di guadagnare da una guerra totale. Il presidente americano, ossessionato dal timore di apparire debole davanti al suo elettorato, vuole mostrarsi duro, ma non ha interesse ad affrontare la campagna elettorale con centinaia di migliaia di soldati Usa inchiodati sui campi di battaglia del Medio Oriente. Gli ayatollah, furenti per l’eliminazione del popolarissimo generale Soleimani, sanno che potrebbero scatenare una guerra disastrosa per tutti, ma che non potrebbero vincerla. Continuano, così, a minacciare vendette tremende, ma hanno costruito la loro rappresaglia in modo da massimizzare l’effetto sull’opinione pubblica interna — lo spettacolare lancio notturno di 15 missili balistici — minimizzando il rischio di innescare reazioni a catena incontrollabili.
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