Il discorso di Trump sull’Iran e la strategia Usa in tre punti: la “tregua” militare (ma solo a certe condizioni)
E questa è una cosa buona per tutto il mondo». Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, aveva appena twittato che «l’Iran non cerca la guerra con gli Usa». E Trump ha di fatto risposto: finiamola qui con i missili, almeno per ora, visto che i razzi sulle basi di Ain Al Asad e di Erbil «non hanno fatto vittime tra gli americani e tra gli iracheni».
Il presidente degli Stati Uniti si è presentato davanti al podio con «il consiglio di guerra» che ha gestito l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani: il vice presidente Mike Pence, il Segretario di Stato, Mike Pompeo e il Segretario alla Difesa, Mark Esper. Alle loro spalle si sono schierati i generali dello Stato maggiore del Pentagono. Un modo per mettere in chiaro che l’amministrazione è ora compatta. Il livello di rischio, dunque, scende di una tacca. E potrebbero esserci novità importanti anche sul campo.
Il presidente ha annunciato che «chiederà alla Nato un maggior coinvolgimento nel Medio Oriente», senza aggiungere altri dettagli. E’ una mossa che sulla carta potrebbe aiutare a stemperare il confronto diretto tra i soldati americani e le milizie di Teheran, visto che le strategie militari sarebbero condivise con gli alleati europei e con la Turchia. La cornice, però, resta rigida: «Fino a quando sarò il presidente all’Iran non sarà mai consentito di avere la bomba atomica», ha detto Trump, criticando pesantemente, ancora una volta, le scelte del suo predecessore, Barack Obama. Tutti i Paesi Nato concordano sul fatto che gli ayatollah debbano fermarsi nella corsa al nucleare, come si è visto nel vertice straordinario del 6 gennaio.
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