Teheran ammette: l’aereo, un errore Studenti in piazza: morte ai bugiardi
Nell’esaminare la cabina di pilotaggio l’altro ieri gli investigatori ucraini erano certi: a colpirla è stato un missile. Dopo tre giorni di smentite, a sorpresa il governo iraniano ha annunciato l’esito ieri mattina: è stato un missile terra-aria dei Guardiani della Rivoluzione — ha ammesso — ad abbattere l’aereo. «Un errore umano».
L’aria si è schiarita, ma la scelta dell’onesta tardiva non è bastata. I paradossi e la rabbia sono troppo grandi. È stata una settimana spaventosa per gli iraniani, con lo sguardo puntato sui confini, per poi trovarsi colpiti in patria. Il Wall Street Journal ha rivelato che gli americani hanno contattato Teheran tramite l’ambasciata svizzera dopo l’uccisione di Soleimani, per evitare l’escalation, e che ai toni di scontro in pubblico hanno alternato scambi più moderati in privato. La Repubblica Islamica si è pure assicurata che gli iracheni fossero avvertiti prima di colpire due basi nella «severa vendetta» per il generale: non volevano fare vittime. Ma i voli civili dall’aeroporto erano rimasti invariati.
«Il Boeing 737-800 è stato scambiato per un missile cruise americano, l’operatore aveva solo dieci secondi per decidere», spiega il generale Amir Ali Hajizadeh, capo della divisione aerospaziale. Il mea culpa tocca a lui che lunedì, ai funerali del generale, aveva assicurato: «Lanciare un paio di missili, colpire una base o perfino assassinare Trump non basterà». E adesso giura che avrebbe preferito «morire» piuttosto che vedere un simile incidente.
I ragazzi e le ragazze di Amirkabir, Sharif e altre due università della capitale sono scesi in strada ieri: non possono credere che fino a ieri i leader della Repubblica Islamica non sapessero niente della vera causa della tragedia. Molti dei giovani morti su quel volo erano studenti come loro. «Morte ai bugiardi», gridano, filmando le proteste con i telefonini. Slogan durissimi: «Khamenei assassino, si dimetta». Esigono una vera punizione per i responsabili. «Guardiani della Rivoluzione, giù le mani dall’Iran». L’ambasciatore britannico Rob Macaire, che ha fotografato i manifestanti, è stato arrestato per alcune ore. Anche nei pressi dell’ambasciata italiana l’atmosfera era tesa, le proteste di 1.500 studenti sono state arginate con i lacrimogeni.
Quella fetta della popolazione, progressista e laica, che ai funerali di Soleimani non c’era, ora accusa non solo la forza militare, economica e politica che sono i Pasdaran, ma l’intero sistema. Non sono milioni, come le persone mosse dall’orgoglio nazionale e dall’emotività nei giorni scorsi. Ma l’orgoglio nazionale ha anche ucciso 56 persone e ne ha ferite oltre 200, schiacciate dalla folla a Kerman martedì scorso. E l’emotività non fermerà le nuove sanzioni.
La classe media cui appartiene Zahra, casalinga e madre 52enne di due figlie trentenni che incontriamo al bazar, è allo stremo. Deve vendere l’oro di famiglia per aiutare le figlie a pagare l’affitto. Trentenni, laureate in Ingegneria, fanno la parrucchiera e la segretaria di un dentista, perché non c’è lavoro. Vuole vederle volare in Canada, proprio come decine di iraniani uccisi su quel volo. «I veri pericoli non sono all’esterno — gridano gli studenti —, ma all’interno del Paese».
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