Gregoretti, la corsa a ostacoli prima di una sentenza: tra iter del Parlamento e giudizi nei tribunali
Ammesso e non concesso che tutto vada come improvvisamente lui ha deciso che debba andare (almeno a parole), prima di poter scrivereLe mie prigionisul caso «Gregoretti» Matteo Salvini dovrà aspettare ancora un po’. Perché l’auspicata autorizzazione a procedere concessa dal Senato non varrebbe un arresto né una condanna, così come il voto in Giunta di ieri sera. Dopo il clamoroso e per certi versi grottesco capovolgimento di fronti dovuto alla scelta aventiniana della maggioranza di ritirarsi al momento del voto, per protestare non tanto contro la propaganda dell’ex ministro ma contro le asserite «forzature» dei presidenti del Senato e della Giunta, si apre la partita dell’Aula. Che dovrà riunirsi e deliberare entro il 17 febbraio.
A prescindere dalle strumentalizzazioni del procedimento giudiziario avviato, e dalla zoppicante coerenza con ciò che è stato detto fin qui sul presunto sequestro di 131 migranti trattenuti cinque giorni a bordo della nave militare Gregoretti (e di quel che gli stessi partiti fecero un anno fa, nel caso analogo della Diciotti), il Senato dovrebbe dibattere e decidere sul merito della richiesta avanzata dal tribunale dei ministri di Catania. Che per legge non può occuparsi di «stupratori, spacciatori e mafiosi», come reclama Salvini nei suoi comizi, ma è chiamato a verificare, appunto, ipotetici reati ministeriali.
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