Elezioni Usa, perché un piccolo Stato americano il 3 febbraio può decidere il destino del mondo
Secondo uno studio del National Bureau of Economic Research, infatti, gli elettori dell’Iowa hanno addirittura il 20% in più di influenza rispetto a un normale elettore. Chi vince qua ha quindi ottime possibilità di diventare il candidato del suo partito. Ai democratici, dal 1972, è successo 9 volte su 12, e solo Clinton nel 1992 è diventato presidente senza un successo nell’Iowa. Da allora nessuno ha più ottenuto la nomination senza fare il pieno qua: è accaduto allo stesso Clinton nel 1996 da presidente in carica; nel 2000 ad Al Gore che poi perse le elezioni contro George W. Bush, esattamente come John Kerry quattro anni dopo; a Barack Obama nel 2008 e nel 2012. Giovane senatore dell’Illinois, Obama fu lanciato proprio da quella vittoria a sorpresa: sconfisse la favorita Hillary Clinton alle primarie e poi venne eletto presidente contro John McCain. La sua storia, insomma, spiega bene il potere di questo piccolo Stato.
I precedenti per i repubblicani
Nel 2016 Hillary Clinton si ripresenta, stavolta vince le primarie, per poi perdere la battaglia finale contro Donald Trump (che in Iowa era arrivato secondo). Anche per i repubblicani il successo in Iowa è stato determinante per la nomination 6 volte su 11: l’ultimo fu George W. Bush nel 2004. Quest’anno, come accade normalmente ai presidenti in carica, Trump sarà però impegnato nelle primarie solo formalmente e non avrà sfidanti reali.
Perché l’Iowa è così importante?
Perché l’Iowa è importante? Perché è qui che nel 1972 i democratici hanno istituito le primarie — seguiti quattro anni dopo dai repubblicani — per scegliere in modo più inclusivo il candidato alla presidenza. Da allora, per legge, è il primo Stato a votare e, siccome può spianare la strada per la Casa Bianca, i candidati passano mesi a battere ogni angolo delle 99 contee, spendendo milioni di dollari in spot televisivi e radiofonici. Chi perde, spesso si ritira dalla contesa.
Come funzionano i caucus
La scelta non avviene con un normale voto, ma attraverso 1.681 caucus: sono una sorta di riunioni di condominio che si tengono nelle palestre, scuole, teatri, sale parrocchiali e così via, dove gli elettori – a volte qualche centinaio di persone, altre giusto una quindicina – discutono fra loro e poi si dividono in gruppi che rappresentano i candidati. I gruppi più piccoli, quelli composti da meno del 15% dei presenti, vengono eliminati e gli elettori ridistribuiti in un secondo round, e il gruppo più numeroso vince. A questo punto si sommano i risultati di tutti i caucus dell’Iowa, poi il partito fa una proporzione fra i voti presi e i delegati assegnati dallo Stato, e alla fine viene dichiarato il vincitore.
Il carrozzone delle primarie
Dopo i caucus dell’Iowa, le primarie si spostano rapidamente in New Hampshire, Nevada, South Carolina e così via, passando per i due Super Martedì di marzo in cui votano una ventina di Stati: chi avrà più delegati si guadagnerà la nomination, assegnata ufficialmente con le convention dei partiti questa estate.
I democratici in corsa quest’anno
Fra i democratici sono rimasti in corsa 12 candidati, ma i favoriti sono Joe Biden, Elizabeth Warren, Bernie Sanders e Pete Buttigieg.
Salvo sorprese, uno di loro il 3 novembre sfiderà Donald Trump e potrebbe diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti. Il nome potrebbe fare la differenza per il mondo intero: sul tavolo ci sono le crisi internazionali da gestire, a partire da quella con l’Iran, e le guerre commerciali, inclusa quella fra Stati Uniti ed Europa. Con un nuovo presidente, forse, cadrebbero anche i dazi sui prodotti italiani, francesi, tedeschi, e, viceversa, quelli che l’Ue ha imposto sull’import made in Usa.
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