Andrea Orlando: “Tagliando a Quota 100 e reddito di cittadinanza”
Il giudizio, come sa, lo considero ingeneroso. Ma è altrettanto evidente che serve un vero e proprio cambio di passo, che, sia chiaro, non significa porre ultimatum o declinare una nuova agenda in modo polemico sui singoli capitoli. In questo senso, a proposito di lezione, l’Emilia fornisce un metodo. Bonaccini ha avuto il grande merito di evitare il tema del buon governo scomparisse, cosa che la presenza di Salvini avrebbe determinato in caso contrario. E le sardine hanno aiutato il risvegliato democratico dell’Emilia profonda, la riscoperta di una idea di comunità.
Quale è dunque la lezione?
L’atteggiamento del Pd. Il Partito democratico è stato quello che deve essere strutturalmente, una forza coalizzatrice che valorizza le esperienze di buongoverno e che interloquisce, senza strumentalizzarli, con i movimenti. E aggiungo, con umiltà e operosità, senza essere subalterna alle logiche del circo comunicativo o cercare effetti speciali. È così che si spiega l’imponente risultato di lista.
È vero: imponente. Si è parlato molto di cambiare nome e simbolo del Pd. Ma questo risultato forse suggerisce che non è quello il problema. O sbaglio?
Non sbaglia. Personalmente ho sempre pensato che il tema non sia nome e simbolo. Non siamo nell′89, dove dove quella modifica è risolutiva. Il punto è il posizionamento, l’assetto e il messaggio al paese.
Prima di parlare della fase due, restiamo ancora sull’analisi della destra. L’Italia non è l’Emilia. Non rischiate di illudervi sul declino del salvinismo?
Sarebbe sbagliato pensare che con la vittoria in Emilia si sono risolti i problemi. Anche lì c’è una crescita imponente della destra, e un differenziale tra l’ottima affermazione del centrosinistra nelle aree urbane e le difficoltà nella dorsale dei piccoli comuni. Dobbiamo dare una risposta a partire da politiche specifiche sull’Italia vuota, dello spopolamento, dove però vivono milioni di persone. Per venire alla sua domanda. La risposta è: la destra ha una vitalità da non sottovalutare. E Salvini è tutt’altro che finito.
Insisto, la vittoria in Emilia, fa precipitare la discussione sul governo. Orlando, lei si rende conto che da dopo la manovra è fermo?
Innanzitutto, se il governo non fosse stato fatto è possibile che Salvini avrebbe fatto la campagna elettorale da presidente del Consiglio, con una finanziaria da campagna elettorale e una guerra in atto con l’Europa di fronte ad un Paese stremato da una campagna elettorale permanente. E la sinistra non vince se sale la paura e la disperazione.
È sicuro che questo non avrebbe prodotto una uguale reazione da parte dell’Emilia democratica. Sarebbe stata come un citofono all’ennesima potenza…
No, credo che che sarebbe stato un incubo, con i mezzi di informazione ancora più schierati a suo favore. Invece è vero che il governo non ha potuto dispiegare fino in fondo gli esiti positivi della manovra anche per problemi interni però qualche segnale lo abbiamo dato: cuneo fiscale, asili nido, aumento del fondo sanità in una Regione che è molto attenta al tema.
Adesso, diceva prima, la “fase due”. Che cosa è questa fase due? Le chiederei di essere preciso sui vari punti, su cui andrete al confronto con Conte.
La sua cornice è scritta nell’accordo di programma di agosto. Ora va sviluppata e realizzata, senza rinvii. Innanzitutto la transizione ecologica sulla quale oggi ci sono non banali risorse ma reclama delle politiche; poi la lotta alle diseguaglianze che vedrà una nostra proposta di “guerra alle disuguaglianze”, a partire dalla normativa sull’equo compenso per i professionisti;una legge sul salario minimo;uno statuto per il lavoro del XXI secolo; una legge contro la disparità di salario tra uomini e donne; un ulteriore passo nella direzione della riduzione del peso fiscale sui salari. Ma questo ragionamento non può che portare anche a una riconsiderazione di alcuni strumenti in essere.
A quali si riferisce?
Va fatto un tagliando a Quota cento va fatto perché oggi è una lotteria che penalizza le donne e i lavoratori che hanno vuoti contributivi. Lo stesso ragionamento vale per il Reddito di cittadinanza, che è uno strumento ingiustamente demonizzato ma che abbiamo visto non funziona su due fronti: nel rapporto con le politiche attive del lavoro e nell’affrontare situazioni di povertà assoluta.
Finora, per i Cinque stelle, sono stati considerati intoccabili. Se vi dicono di no?
Io non pongo le questioni nei termini di un prendere lo lasciare o con lo spirito di chi si sente più forte, alla luce dei nuovi equilibri elettorali che ha disegnato il paese, ma dico che non sarebbero accettabili dei no pregiudiziali. Verificando che ci sono, nei meccanismi di questi provvedimenti, cose che non funzionano, si cambia. Sono certo che questo approccio ragionevole sarà condiviso. E poi, aggiungo all’elenco: va rafforzato il messaggio alle imprese.
Più soldi per il cuneo?
Una progressività su quello è un dato acquisito. Dico che alle imprese va fatto un ragionamento molto chiaro: noi non vi prometteremo fantasmagorici abbattimenti delle tasse ma mettiamo sul piatto: più investimenti pubblici, un sostegno alla domanda interna e, su tutto, un piano per ridurre il peso in molti casi insostenibile della burocrazia. Dobbiamo sanzionare chi non firma senza valide ragioni e commissariare gli enti che non rispettano le normative già oggi previste.
Orlando, manca il tema della discontinuità sui decreti sicurezza. Avete deciso che questo tema è diventato un tabù? Del resto qualcuno nel suo partito qualcuno lo ha teorizzato: parlare di discontinuità è una idiozia.
Non vedere che c’è una discontinuità rispetto all’era gialloverde è una idiozia.
Realizzarla
sul terreno delle politiche per l’immigrazione e la sicurezza è una
necessità. E anche un dovere morale. Ad agosto avevamo detto cose molto
chiare: partiamo dalle indicazioni di Mattarella e ricostruiamo dei veri
decreti sicurezza, che servano a risolvere i problemi della gestione
dei flussi quelli a garantire la sicurezza sociale, non a creare un
esercito di clandestini e a spaventare la gente.
Basta rinvii?
Adesso è il momento.
Su questo terreno però, Orlando, siete stati particolarmente timidi. Ma le pare possibile nascondersi sulla Gregoretti: ‘ho ragione, ma mi nascondo perché ho paura del senso comune’. Questo è il messaggio che è passato.
Il merito, anche quando è così rilevante, non può cancellare il metodo. E la gestione della vicenda da parte dei vertici del Senato e della giunta non poteva essere legittimata. Detto questo, adesso arriva in Aula e terremo la stessa posizione che abbiamo sempre tenuto su questo tema.
A proposito, la prescrizione?
C’è un tavolo aperto.Le nostre posizioni hanno fatto diversi passi avanti,ne serve qualcuno ancora. È quando c’è un tavolo aperto che lavora non si fa saltare il tavolo.
Lei ha elencato una serie di punti di programma. Però qui c’è una questione a monte che riguarda i Cinque stelle, e il rapporto con voi. Avete detto: “Adesso cambiate registro e scegliete”, vi hanno risposto di no.
Non so se è un no definitivo, vedo che ci sono posizioni che vanno in un’altra direzione. E queste posizioni vanno comunque incoraggiate tenendo ferma la proposta.
Gliela dico così: lei auspica una “svolta” nel programma e nell’assetto, arrivando a un’alleanza politica. Il rischio è che, invece di una svolta, ci sia una implosione che paralizza l’azione di governo più di quanto lo sia oggi.
A
me sembra che in quel Movimento si sia aperta una fase nuova, e quanto
di più simile a una discussione democratica, certo tra linee e
sensibilità diverse. A me sembra che, anche grazie al lavoro quotidiano
nel governo, stia crescendo il fronte di chi vede la nostra
collaborazione non episodica o emergenziale, ma strutturale. Veda, io
non ho mai creduto che si possa riconquistare un pezzo di elettorato
senza interloquire con chi quell’elettorato ha scelto.
Il che non
significa essere subalterni, e mi pare che i risultati lo abbiamo
ampiamente dimostrato ma nemmeno liquidatori pensando che quel consenso
che si è determinato sia soltanto un incidente della storia che
magicamente passa dall’antipolitica alla politica senza che quest’ultima
muova un dito.
Voi dite: avanti con l’alleanza. Però, scusi, le regionali dicono l’opposto: non ha senso allearsi con loro perché un pezzo degli elettori, che erano di sinistra, ritornano. Cioè il problema è l’offerta vostra, non l’alleanza con i Cinque stelle.
Qui è l’errore. L’elettorato torna perché abbiamo proposto l’alleanza. Se avessimo contenuto un livello del conflitto alto, avremmo favorito la linea della cosiddetta terza via.
Non mi pare che sia una linea superata. I Cinque stelle a Roma esprimeranno un candidato contro Gualtieri.
Spero che prevalga la ragionevolezza. Sarebbe lunare che un partito di governo esprime un candidato contro il ministro dell’Economia, col rischio, in quel collegio, di favorire un deputato che andrebbe all’opposizione. Lo dico persino nell’interesse di chi ancora coltiva l’idea della terza via: metterla alla prova sul terreno più incomprensibile per gli elettori in una città che non è più una piazza molto favorevole rischia di essere soltanto la certificazione di un fallimento che va persino oltre i limiti della formula ed un favore inaspettato alla destra.
Lei considera Conte il nuovo Prodi o comunque un punto di riferimento dei progressisti?
È un punto di equilibrio di questa fase. Lo anche per noi. E mi accontenterei che diventasse il punto di riferimento del suo Movimento.
Per costruire l’alleanza alla prossima tornata di regionali quanto siete disposti a cambiare candidati? Penso agli uscenti: De Luca, Emiliano…
Abbiamo detto decliniamo il ragionamento regione per regione. Resta aperta la proposta, non facciamola discendere da una formula astratta ma verifichiamo se tutte le buone ragioni dell’alleanza trovano praticabilità in concreto nelle diverse realtà.
Ultima domanda, Orlando. Quando si farà il congresso: dopo le regionali?
Io mi chiederei se non è il caso di farlo prima.
Subito?
Il più presto possibile: sarebbe una operazione che dà il segno dell’apertura e del consolidamento dell’asse politico e programmatico, con la possibilità anche che si esprimano opzioni diverse. È evidente che di fronte a una situazione che muta così rapidamente e a una domanda della società che è tornata in campo la risposta peggiore sarebbe rimanere immobili. Credo che nella larga maggioranza del nostro popolo ci sia il riconoscimento della leadership e dello stile della leadership di Zingaretti e anche questo, insieme alle regole nuove, può aiutare a concentrare l’attenzione sulle idee e sugli strumenti di cui ha bisogno il nuovo partito. In questi termini potrebbe rafforzarci in vista delle prossime amministrative.
L’HUFFPOST
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