Cassa integrazione fino al 2023. L’ultima carta del Governo per Ilva
La grana degli esuberi, insieme agli altri punti qualificanti della nuova bozza di accordo – la presenza dello Stato e i livelli di produzione – sono però rimessi alle volontà dei vertici delle parti. Ecco come la fonte spiega il carattere cruciale di questo passaggio: “L’accordo nelle sue linee generali c’è, ma bisogna capire se Conte e Mittal si fidano uno dell’altro nel firmarlo”. I dettagli dell’accordo non sono stati ancora definiti. Non è ancora stato fissato ad esempio il prezzo dell’entrata dello Stato. Se non è stato possibile farlo è perché bisogna ancora scavallare il primo passaggio, quello appunto politico.
Fidarsi l’uno dell’altro implica anche togliere di mezzo la battaglia legale. Il 7 febbraio è in programma un’udienza al tribunale di Milano sul ricorso di urgenza attivato dai commissari dell’ex Ilva, in rappresentanza del governo, contro la decisione di Mittal di lasciare Taranto. L’udienza è stata rinviata già una volta. Era il 20 dicembre quando il governo e i franco-indiani siglarono un Heads of Agreement, evitando così lo scontro in tribunale. Se si chiede un altro slittamento viene a cadere il carattere d’urgenza chiesto dal governo. La carta della battaglia legale resterebbe attiva, ma derubricata ai tempi della giustizia ordinaria e questo segnerebbe evidentemente una spuntatura significativa. Sarebbe comunque il male minore perché il vantaggio sarebbe quello di avere più tempo per trattare. Anche questo male minore, però, ha delle implicazioni. I 5 stelle vogliono stringere. Stefano Patuanelli, ministro allo Sviluppo in quota pentastellata, è stato perentorio: o si chiude entro il 31 o si va in tribunale. Il resto del governo, però, spera di evitare l’udienza. Se il giudice dovesse decidere che Mittal ha ragione nel sostenere che può lasciare Taranto, si aprirebbe uno scenario catastrofico. E questo è un prezzo che non può essere sostenuto.
L’HUFFPOST
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