Brexit, lasciamoci con il sorriso (la storia non è ancora chiusa)
Boris Johnson non vuole proroghe, e ha fatto approvare dalla Camera dei Comuni una legge che le vieta. Pur di chiudere, ha lasciato l’Irlanda del Nord nel mercato unico europeo: non è poco. Non si capisce, però, come undici mesi siano sufficienti per un negoziato tanto vasto e complesso: il Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta) tra Ue e Canada, che ha eliminato il 98% delle tariffe, ha richiesto sette anni di negoziati. In caso di mancato accordo (no deal), i rapporti tra Uk e Ue verranno regolati dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Questo significa: tariffe, quote, costi e un incubo logistico. Pensate ai commerci: oggi il Regno Unito esporta nell’Unione Europea servizi per 30 miliardi di euro, ma importa beni per 100 miliardi. I porti di Dover e Calais, e tutti gli aeroporti britannici, diventerebbero un girone infernale. Ma non si dovrà lavorare soltanto sulle regole. Gli umori e gli atteggiamenti sono altrettanto importanti.
In questa giornata
storica — per una volta, l’aggettivo non è retorico — dobbiamo
chiederci: il divario politico e psicologico tra il Regno Unito e il
resto d’Europa è destinato ad allargarsi? Nell’eventualità di una
crepa sul muro, applichiamo un pezzetto di vetro: se si spezza,
iniziamo a preoccuparci. Nel caso di Brexit dovremo usare altri
indicatori. Per esempio, osservare il linguaggio.
Sarà interessante capire quanto verrà usata in Gran Bretagna l’espressione «the Europeans»
per indicare i cittadini dell’Unione Europea. Nessun referendum,
infatti, può cambiare la geografia e la storia. I britannici escono da
un’organizzazione internazionale, non da un luogo dove sono da secoli
protagonisti. Erano, sono e resteranno europei. Speriamo se ne rendano
conto.
Anche noi europei del continente, e gli irlandesi, abbiamo compiti e responsabilità.
Dovremo evitare di condire Brexit di cattiveria: non sarebbe utile, e
non sarebbe giusto. La tentazione di punire gli inglesi esiste ed è
spiegabile: negli ultimi quattro anni, i toni e gli argomenti usati
verso l’Unione sono stati talvolta sgradevoli. Ed è probabile che nel
corso del negoziato — intenso, considerato i tempi ristretti —
nasceranno nuove tensioni. Sembra quasi certo, infatti, che il governo
britannico utilizzerà la disinvoltura bancaria e la leva fiscale per
attirare investitori e capitali di ogni provenienza (più di quanto abbia
fatto finora). Questo rischia di irritare Bruxelles e gli altri governi
europei.
Il periodo che precede un divorzio è sempre il più difficile: vale per le persone e per le nazioni.
Ma il divorzio, nel caso di Brexit, ormai è avvenuto. Manteniamo la
calma e, se possibile, il sorriso: renderà la vita più facile a tutti.
Gli avversari sono altrove. In Gran Bretagna vivono, e continueranno a
vivere, i nostri amici. E anche molti di noi.
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