Coronavirus, non c’è vaccino né cura, ma dai sintomi si può passare alla diagnosi rapida: ecco come
Tre giorni fa la multinazionale Johnson&Johnson, attraverso le sue aziende Janssen, ha annunciato che metterà a disposizione il suo know-how di ricerca nel campo dei vaccini (loro è, per esempio, quello sperimentale contro il virus Ebola) e di alcuni farmaci anti-virali (molti utilizzati contro l’Hiv, l’agente dell’Aids) per rispondere alla minaccia globale da Coronavirus. Ma quali sono le prospettive di poter disporre, in tempi rapidi, di vaccini e farmaci per arginare questa infezione? (che non è ancora tecnicamente un’epidemia, se non in Cina: negli altri Paesi, a oggi, i casi sono pochi e circoscritti). Lo chiediamo ad Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e docente all’Humanitas University.
«Al momento, la prima linea di difesa nei confronti di questa emergenza che sta diventando globale, è la diagnostica: cioè la possibilità di intercettare l’infezione in tempi rapidi con test a basso costo. E di conseguenza la possibilità di mettere in atto tutte le misure di contenimento disponibili per consentire l’isolamento dei malati infetti e impedire il contagio. È quello che sta avvenendo nel nostro Paese e in tutto il mondo Occidentale, che si può ritenere abbastanza al sicuro».
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